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La lingua dei notai a Bologna ai tempi di Dante

dottorando in Filologia romanza presso la Scuola di dottorato europea in Filologia romanza dell’Università degli Studi di Siena, Via della Barca 47, I-40133 Bologna ; armanu2002@libero.it.

professore di Paleografia latina e Diplomatica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bologna, Dipartimento di Paleografia e Medievistica, Università degli Studi di Bologna, Piazza San Giovanni in Monte 2, I-40124, Bologna ; feogiova@unibo.it.

Oggetto di questo studio è il rapporto che intercorse a Bologna tra notai e volgare ai tempi di Dante. Tre le fonti principali analizzate: le rubriche statutarie comunali e societarie relative all’esame di notariato, con particolare attenzione allo spazio da esse riservato alle competenze tecniche, retoriche e linguistiche richieste ai futuri notai, tra Due e Trecento ; i versi in volgare trascritti sulle carte dei registri pubblici comunali (i Memoriali) da parte dei notai bolognesi ; infine l’inedita produzione di documenti in volgare d’uso pratico, nello specifico le dichiarazioni d’estimo cittadine redatte tra 1265 e 1330.

L’étude porte sur le rapport noué, à Bologne, entre notaires et langue vernaculaire au temps de Dante. Les principales sources analysées sous cet angle sont : les prescriptions des statuts communaux et professionnels relatives à l’examen des notaires, spécialement ce qui y regarde les compétences techniques, rhétoriques et linguistiques exigées des futurs praticiens, aux XIIIe et XIVe siècles ; les poésies vernaculaires portées par des notaires bolonais sur les registres communaux d’enregistrement des actes notariés (Memoriali) ; enfin, la production, toujours inédite, de documents de gestion, rédigés en vernaculaire, et en particulier les déclarations au cadastre urbain rédigées entre 1265 et 1330.

Introduzione : Dante, Bologna e i suoi notai

Si intende segnalare al principio del presente contributo che, nel tempo intercorso tra la relazione e la stesura dell’intervento, ha preso avvio un progetto d’edizione degli estimi bolognesi in volgare dell’età di Dante, promosso dal Dipartimento di Paleografia e Medievistica dell’Università degli Studi di Bologna, grazie al finanziamento della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, coordinato da chi scrive con la collaborazione di tre giovani ricercatrici, Flavia Gramellini, Melania Mezzetti e Maddalena Modesti. Sempre a Maddalena Modesti, inoltre, si deve l’elaborazione grafica dei dati statistici, che costituiscono parte integrante di questa ricerca.

Il presente studio si ripromette d’indagare i nessi che intercorsero a Bologna tra notai e volgare ai tempi di Dante. La questione è affrontata in tre distinti paragrafi ciascuno dei quali è specificatamente dedicato ad un aspetto particolare di tale rapporto. Il primo paragrafo, grazie agli studi che da tempo hanno inteso il ruolo fondamentale avuto da alcuni notai bolognesi nell’elaborazione della prosa d’arte in lingua di sì, analizza con attenzione l’evoluzione delle rubriche statutarie comunali e societarie relative all’esame di notariato e lo spazio da esse riservato alle competenze tecniche, retoriche e linguistiche richieste ai futuri notai, tra Due e Trecento ; inoltre nel medesimo paragrafo è stato indagato il rapporto esistente tra esame di notariato e affermazione politica della Società dei Notai all’interno della città di Bologna. Il secondo paragrafo fa il punto degli studi e delle nuove acquisizioni documentarie relativamente a quel singolare fenomeno culturale bolognese consistente nella trascrizione di versi in volgare sulle carte dei registri pubblici comunali da parte dei notai bolognesi1. Il terzo paragrafo si propone di approfondire un aspetto meno noto del rapporto tra notariato e volgare, quello cioè riguardante la produzione di documenti in volgare d’uso pratico. Tale argomento è indagato grazie ai dati ricavati da una ricerca inedita compiuta su due fondi documentari assai consistenti (i Memoriali e gli Estimi cittadini) tra 1265 e 1330.

Il lasso temporale prescelto coincide con l’attività poetica dell’Alighieri, il quale ha dedicato ampio spazio alla lingua bolognese (soprattutto nel suo De vulgari eloquentia), godendo inoltre di un immediato e straordinario successo nella città felsinea2.

Inoltre tale arco cronologico pare coerente ed omogeneo per almeno tre motivazioni di carattere differente. La prima ragione è di natura istituzionale, essendo quelli gli anni in cui si afferma a Bologna un governo di matrice popolare e guelfa, grazie all’inserimento della città in un circuito filo angioino di comuni dell’Italia centro-settentrionale retti da magistrati forestieri itineranti3. La seconda ragione è di natura archivistica, essendo questa l’età in cui si attesta all’interno dell’amministrazione comunale l’uso del registro quale strumento di gestione e di regolamentazione dell’attività amministrativa, coercitiva, giudiziaria e finanziaria cittadina4. La terza motivazione di carattere più generale tiene in considerazione il ricco quadro culturale bolognese e della sua Università5. Pertanto restano ancor’oggi valide le considerazioni fatte da Girolamo Arnaldi nel 1965 : « (…) bisogna pur sottolineare il fatto che, quando si accinse a scrivere la Divina Commedia, Dante era da tempo entrato a far parte di quel vario e mobile mondo di podestà, giudici, notai, cancellieri, dottori delle università, che, sebbene territorialmente disperso e continuamente rimescolato dagli spostamenti da una sede all’altra, era un mondo assai omogeneo, unito dalla comune cultura retorico-giuridica e dall’uso corrente del latino cancelleresco appreso alla scuola dei vari celebri maestri di ars dictaminis, ma anche da un gergo comune e dal comune dominio di un articolato patrimonio di episodi e figure, che, per essere a tutti noti offrivano un comodo punto di riferimento nelle conversazioni di tutti i giorni »6.

I. I notai bolognesi e la prosa d’arte in volgare

Prendiamo le mosse da un celebre passo di un maestro dello Studio bolognese, grazie al quale annodare le fila di un discorso che riprenderemo nelle battute conclusive del nostro intervento, quando analizzeremo i dati in nostro possesso relativi alle denunce d’estimo scritte in volgare. La non certo lusinghiera riflessione di Boncompagno da Signa attesta, intorno al 1215, l’abitudine non tanto dei notai quanto piuttosto dei mercanti di utilizzare la lingua materna per comporre delle epistole :

« (…) mercatores in suis epistolis verborum ornatum non requirunt, quia fere omnes et singuli per idiomata propria seu vulgaria vel corruptum latinum ad invicem sibi scribunt et rescribunt. »

Ma, accanto ai mercanti, i notai nel corso del Medioevo conoscono ed impiegano il volgare, come dimostra una rubrica statutaria bolognese del 1246 (inserita negli Statuti del 1250) in cui è prescritto che, durante lo svolgimento dell’esame di notariato, si certifichi la capacità dei notai bolognesi di volgarizzare i documenti scritti in latino (nostro il corsivo) :

« Dicimus quod nullus de cetero possit fieri tabellio de novo nisi examinatus fuerit hoc modo : scilicet quod elligantur iiij. notarii pro quolibet quarterio a consulibus artis tabellionatus de melioribus et pericionibus [sic] et literatoribus societatis notariorum in presencia judicum potestatis, et teneantur sacramento sequimenti non elligere aliquem de quo rogati sint, nec ad postulationem illorum qui debent examinari vel aliquorum aliorum ; qui notarii presente uno ex iudicibus potestatis et uno alio ad voluntatem ipsius judicis potestatis debeant examinare volentes fieri tabelliones et inquirere diligenter ab eis de multis et diversis contractibus et videre et scire qualiter sciunt scribere, et qualiter legere scripturas quas fecerint vulgariter et litteraliter, et qualiter latinare et dictare, et his peractis judex potestatis quos viderit et crediderit sufficientes et dignos approbet cum conscilio predictorum iudicum et notariorum ; qui iudex et tabelliones teneantur sacramento sequimenti consulere judicem potestatis approbare sufficientes et insufficientes reprobare hoc a verbo illo hoc modo usque ad verbum illud et omnes notarii approbati ceperunt habere locum ab anno domini M.CC.xlvj. indictione quarta, die lune nono jntrante julio »7.

La rubrica fu solo in parte modificata nel 1252 :

« Ad hoc ut boni et litterati tabelliones habeantur statuimus et ordinamus quod nullus de cetero possit fieri tabellio de novo nisi examinatus fuerit hoc modo : scilicet quod elligantur iiij. notarii et unus iudex pro quolibet quarterio a consulibus artis tabellionum de legalioribus et peritioribus et literatoribus societatis notariorum et iudicum in presentia judicis potestatis et teneantur sacramento sequimenti non elligere alliquem de quo rogati sint ad postullationem illorum qui debent examinari, et iurent de novo coram dictis ellectis quod singuli ab eo representati studuerunt et fuerunt sub eius disciplina in arte notarie adiscenda per unum annum, et quod credit eos per ea que sciunt dignos et sufficientes ad exercendum artem et officium notarie, et omnes dicti ellecti presente iudice ex uno ex iudicibus potestatis debeant examinare singulos, ut dictum, presentes volentes fieri tabelliones, et iudex potestatis inquirat et inquiri faciat diligenter a singulis diversis contratibus et de multis instrumentis tam voluntatum ultimarum quam iudiciorum, et faciant singulos examinandos scribere in presentia vel dictare epistolam secundum thema datam a se iudice et faciat singulos legere et reccitare scripturas quas fecerint et instrumenta que dixerint vel vulgariter vel litteraliter jbidem coram examinatoribus supradictis (…) ».

Non si può fare a meno di notare la forte dissonanza che emerge tra le rubriche di metà Duecento e quelle del 1288, dove affiora un diffuso disinteresse a riguardo della preparazione dei futuri notai. Si rileva pertanto la sconcertante obliterazione di indicazioni relative alle concrete conoscenze grammaticali e alle capacità retoriche dei notai che devono essere sottoposti ad esame :

« Statuimus et ordinamus quod quicumque voluerit de cetero tabelio fieri et artem notarie in civitate et comitatu Bononie operari representetur et presentari debeat per preconsulem et consules societatis nostre coram uno ex iudicibus potestatis et coram duobus sapientibus legistis et octo notariis, silicet duobus pro quolibet quarterio, assumendis per ipsum preconsulem et consules ad ipsum representatum vel representatos examinandos. Et ipse representatus tunc iuret sacramento novo quod studuerit in gramatica ad minus duobus annis, item quod studuerit spatio unius anni vel ultra in documentis notarie sub ordinario doctore ipsius artis cive Bononie. Quo facto examinetur ibidem coram ipso iudice per dictos examinatores de latino et hiis que spectant ad artem notarie. Et si inventus fuerit sufficiens et ydoneus, dictus iudex iuxta consilium dictorum examinatorum eum approbet sufficientem et ydoneum, et sententiando pronuntiet ipsum de cetero communis Bononie auctoritate notarium esse et artem notarie posse ulterius in civitate Bononie et comitatu publice operari ac eum in matricula communis Bononie in qua sunt nomina notariorum civitatis et comitatus Bononie fore pro legitimo tabelione scribendum et inserendum »8.

Anticipando ora alcune considerazioni che faremo nel corso del nostro studio, a noi pare che tali marcate differenze siano il frutto di una scelta dettata da ragioni di opportunismo politico, da ricollegare al ruolo istituzionale acquisito tra gli anni ’50 e ’80 del XIII secolo dalla Società dei Notai. A noi pare inoltre che l’interpretazione qui fornita sia corroborata dall’analisi della legislazione statutaria comunale del 1288, la lettura della quale rivela nella forma, nei contenuti e nelle finalità una forte affinità con quella della corporazione dei notai :

« Statuimus quod quicumque voluerit de cetero tabelio fieri et artem notarie in civitate Bononie vel comitatu Bononie operari, se presentet coram preconsule et consulibus societatis notariorum et per ipsos consules presentetur coram uno ex iudicibus domini potestatis et duobus iudicibus civitatis Bononie et octo notariis, silicet duobus pro quolibet quarterio, per ipsos preconsulem et consules elligendis pro examinando talem representatum. Et quilibet sic presentatus teneatur iurare quod studierit in gramatica duobus annis ad minus et in documentis notarie spacio unius anni ad minus sub doctore notarie. Quo sacramento prestito, examinetur ibidem coram ipso iudice et dictis aliis examinatoribus diligenter, de latino et hiis que spectant ad artem notarie »9.

L’analisi, invece, delle rubriche statutarie del 1304 palesa un rigenerato interesse per la preparazione grammaticale e retorica dei candidati che devono sostenere l’esame di notariato. Forse non fu aliena a questa rinnovata attenzione per la preparazione dei notai la presenza, tra i sapienti scelti per la compilazione degli Statuti, di Pietro Boattieri (1260-1334) e di Giovanni di Bonandrea (1245-1321), due personaggi di grande rilievo culturale nell’ambito cittadino, in relazione con l’istituzione comunale, l’università e la corporazione dei notai. Il primo fu maestro di retorica e di notariato, il secondo era stato incaricato dal Comune di impartire lezioni di dictamen ai notai impiegati nella cancelleria comunale10 :

« Debet tabellio sufficienter gramatice facultatis habere notitiam, ut in contractibus, ultimis voluntatibus et iudiciis eo latino uti sciat quod negotiorum nature conveniat et contrarium non pariat intellectum. Et ideo illiterati et indocti ad istud conscendere officium non presumant ; ignorantia enim et imperitia culpe annumeratur, que solent multorum iura perimere, ac subvertere veritatem. Quapropter statuimus et ordinamus pro honore et bono statu societatis quod, si aliquis est in numero seu matricula communis et societatis nostre conscriptus, qui non habeat sufficientem litteraturam ad tabellionatus artem et officium exercendum, et qui non exercet, seu raro vel nunquam tabellionatus officium sit solitus operari et artem aliam seu mercationem exercet, ille talis de matriculis societatis omnimodo tollatur et cancelletur, et ulterius pro socio non habeatur, nisi ad litteraturam promotus fuerit et statutis et legibus examinationis se subiecerit. Et quod per preconsulem et consules detur opera toto posse quod ille talis de matriculis communis Bononie omnino tollatur et cancelletur, ad aliquod officium communis Bononie nullatenus admittendus pro notario. »

« Statuimus et ordinamus quod quicumque voluerit de cetero tabellio fieri et artem notarie in civitate et comitatu Bononie operari representetur et representari debeat per preconsulem societatis nostre coram uno ex iudicibus potestatis et coram duobus sapientibus legistis et octo notariis, scilicet duobus notariis pro quolibet quarterio, assumendis per ipsum preconsulem et consules ad ipsum representatum vel representatos examinandos. Et ipse representatus tunc iuret sacramento de novo prestando quod studuerit in gramatica ad minus quatuor annis, item quod studuerit spatio duorum annorum vel ultra in documentis notarie sub ordinario doctore ipsius artis cive Bononie, dum tamen ante examinationem dominus preconsul teneatur secrete inquirere de tempore studii notarie. Quo facto examinetur ibidem coram ipso iudice per dictos examinatores de gramaticalibus et latino, et hiis que spectant ad artem notarie. Et si inventus fuerit sufficiens et ydoneus, dictus iudex iuxta consilium dictorum examinatorum eum approbet sufficientem et idoneum, et sententiando pronuntiet ipsum de cetero communis Bononie auctoritate notarium esse et artem notarie posse ulterius in civitate et comitatu Bononie pubblice operari ac eum in matricula communis Bononie in qua sunt nomina notariorum civitatis et comitatus Bononie fore pro legitimo tabellione scribendum et inserendum »11.

Se confrontiamo quanto detto con le considerazioni ed i dati statistici presentati dagli studi di Giorgio Tamba12 emerge con evidenza un rapporto inversamente proporzionale tra successo politico (e prestigio sociale) della Società dei Notai e rigore dell’esame di notariato (e di conseguenza difficoltà maggiore d’accesso alla corporazione da parte di chi non proviene tradizionalmente da famiglie legate alla professione notarile). La forza politica della corporazione si misura proprio dalla sua capacità sia di attrazione nei confronti di ampi strati della società bolognese, sia di ampliamento del numero degli iscritti, sia di presenza negli apparati amministrativi dell’istituzione comunale tra 1288 e 1304 (lasso temporale che coincide con gli anni di maggiore autorevolezza della Società dei Notai di Bologna). Un’affermazione che subisce una brusca battuta d’arresto (evidenziata dal calo delle immatricolazioni) nei primi anni del Trecento nel momento stesso in cui le norme relative all’esame di notariato tornano a farsi selettive13.

Del resto è noto che una critica feroce dell’esame di notariato era già stata mossa a metà Duecento da Salatiele, celebre maestro di scuola, esponente di una linea teorica marcata da un forte dissenso nei confronti di quella sostenuta da Rolandino Passeggeri, risultata in seguito vincente14. Come hanno sottolineato studi recenti in merito15, Salatiele aveva tentato un collegamento più saldo del notariato, e conseguentemente della preparazione culturale dei notai, alla dottrina giuridica romanistica, attraverso la creazione di una nuova dimensione del formulario, inteso come semplice appendice ad un corso di ars notarie. Al contrario Rolandino aveva privilegiato le tecniche d’insegnamento tradizionali basate sulla memorizzazione di un formulario ripetitivo e su rigide regole redazionali, senza speculazioni teoriche. Un’impostazione di tal genere, che garantiva inoltre al notariato l’estensione della sua funzione anche al campo del processo e a quello dell’amministrazione pubblica, risultò di fatto vincente sul piano propriamente politico più che su quello dottrinale, portando la corporazione, e Rolandino con essa, al centro della vita cittadina. La formazione prettamente tecnica dei notai sarebbe quindi da ricondurre alla non più discussa supremazia di Rolandino, legata ai rivolgimenti politici della seconda metà del XIII secolo, che comportarono, tra l’altro, la persecuzione del ghibellino Salatiele.

Ora, venendo ad analizzare più da vicino i testi che testimoniano il contributo apportato dai notai bolognesi alla formazione di una prosa d’arte in volgare, non si deve tralasciare l’importanza che ebbe su di essa l’elaborazione teorica cui era approdata l’ars dictaminis all’interno dello Studio felsineo. Basti qui fare menzione di alcuni magistri quali Buoncompagno da Signa (1165/75 - post 1240), Bene da Firenze (seconda metà del XII secolo - 1238/42) e Guido Fava (nato non oltre il 1190 - 1245/50)16. All’iniziativa di quest’ultimo, che sappiamo esercitò la professione di notaio nel biennio 1219-20, si deve la compilazione della Gemma purpurea (opera scritta probabilmente tra 1239 e 1248). Si tratta di un manuale di epistolografia (centrato sulle tecniche ed i modi dell’exordium) che nella sua seconda parte comprende 15 formule epistolari (o esordi) in volgare, poste al termine di altrettanti capitoli redatti in latino :

« V. Da la vostra bontade seguramente adomando aitorio e consiglio per me e per li mei amise e signure, e per l’amore che ène tra nui, e per la liberalitate che ène in vui, e per quello che farave onne die, per la vostra persona, ço che podesse e ve plasesse recevere e adomandare »17.

Sempre di Guido Fava non meno importanti sono i Parlamenta et epistole, testo (composto pare tra il 1242 e 43) che è ritenuto dalla critica l’ultima opera del dettatore bolognese. In esso sono contenuti 95 modelli di discorsi (parlamenta) e di lettere (epistole) di argomento diverso, ciascuno dei quali si apre con un parlamentum in volgare cui fanno seguito di regola tre epistole (raramente due o quattro) in latino vertenti sul medesimo tema e disposte in ordine di ampiezza. In quest’opera il volgare (26 testi) non occupa una posizione accessoria e impiega gli artifici retorici utilizzati nelle formule latine :

« De amico ad amicum qui repetit acomodari, parlamentum.

Voi m’audirite et intendirite per lo vostro onore. No è tesoro ch’eo potesse avere guadagnando scì precioso e gracioso, como fo quando eo avi la vostra amistà, in la quale e’ ho trovà per me e per li mei amise vero consiglio, grande aiturio, firmo amore e certa sperança, et a le’ son tenuto de servire tuto lo tempo de la vita mia »18.

Un interesse quello rivolto dai notai al volgare indirettamente testimoniato dalle formule volgari contenute nel Liber formularium di Ranieri da Perugia (testo composto tra il 1214-16) in cui Rosa Casapullo ha riconosciuto un tipico esempio di scrittura di scuola non dissimile dagli esercizi di versione friulani e dalle formule aretine del primo Trecento19. Non si dimentichi che a Bologna Ranieri da Perugia, oltre a tenere scuola, ebbe un ruolo di primo piano nella realizzazione del Registro Grosso (1219-1223), che costituisce il primo Liber iurium della città.

Due testi del già menzionato Pietro Boattieri mostrano la robusta relazione che intercorre tra l’elaborazione del volgare e la professione notarile. Il primo è il Super modum aringandi tam licteraliter quam vulgariter (si ricordi per inciso la raccolta di lettere scritte in latino ed in volgare conservate nel ms. fiorentino Magliabechiano II IV 312)20, il secondo è l’Expositio in Summa Rolandini (cioè il commento alla Summa totius artis notariae di Rolandino Passeggeri), da cui riportiamo il seguente brano :

« Tamen accipe aliquas regulas circa vulgare reddendum : prima est quod quotiescunque reperitur aliquod verbum, quod commode non recipiat vulgare, illud debet omitti in vulgari reddendo, ut tradidit. Hoc non recipit commode vulgare quia rusticus diceret : « tabellio vult me prodere, quando debet facere instrumentum meum » si tu diceres à tradito. Secunda regula est, quod, quando reperitur aliquod verbum preteriti temporis, debet reduci ad presens, ut dedit et vendidit idest et vende. Tamen debet scribi in preterito, quia postea in significatione sua verbum illud permanet. Tertia regula est, quod, si reperietur aliquod participium desinens in ‑ans vel in ‑ens presentis temporis, debet reduci in vulgarizando ad gerundium ut stipulanti idest stipulando etcet. Et istas regulas sempre habeatis in mentis »21.

Il Boattieri è impegnato a proporre alcuni insegnamenti che potranno tornare utili ai notai durante l’esercizio della loro professione. Innanzi tutto ricorda ai colleghi di non impiegare mai nel corso della traduzione dal latino al volgare vocaboli ambigui che potrebbero essere fraintesi dai rustici, come potrebbe accadere ad esempio per il verbo tradidit qualora lo si rendesse con l’espressione à tradito. In secondo luogo consiglia di riportare al presente i verbi al perfetto così da rendere dedit e vendidit con le forme verbali e vende. In terzo luogo suggerisce di usare il gerundio italiano per tradurre il participio presente latino come nel caso di stipulans volgarizzato in stipulando22.

Da questo ambiente, in cui intensi e proficui appaiono gli scambi tra Comune, Studio, Società dei Notai e Cancelleria, emerge la figura di un altro importante notaio bolognese, Matteo dei Libri, la cui attività professionale si dispiega nella seconda metà del XIII secolo. Questi è noto per avere composto le Arringhe, un testo che offre numerosi esempi di oratoria pubblica, come emerge dal passo seguente :

« Quomodo quis compaciens amico qui fortuito casu vulneraverit aliquem de parte adversa dicere debeat coram eo et aliis acongregatis et quomodo offert se alios qui sunt ibi, si fuerit oportunum. E si solus erit, mutet plurale in singulare :

La casone p[er] la quale quisti signori ènno venuti qui et eo cum loro agreva molto l’animi nostri e contraturba, per quello ke vedemo coi esser caduto in questa briga. Ma ne li si’ caduto pur voi, ma noi cum voi e tuti l’amici nostri. E perçò se convene a voi ke’n questo facto voi mostrati lo gran senno vostro, e si como voi siti usato amegestare altre saviamente, cusì ne recordati de bon magisterio. Et a ke possati e per amici e per parenti plù ke l’altra parte, non m’è ’viso ke se convegna ke voi despresiati vostri inimici, k’el dice uno savio : “In tute le cose teme lo savio, e specialmente l’inimici”. E Salamon dice : “Beato l’omo ke sempre teme, e ki è de dura mente caderà in male”. Et un altro [savio] dixe : “Ki teme omne aguaito non caderà in alcuno”. E dixe anke quel savio : “Lo savio sempre timendo schiva lo male”. E dicese per un vulgare : “Ki ben se guarda, salvo se vede”. E perçò ke nui volemo adimplere la lege, sì como dice sancto Paulo : “Amemo nui, perkè l’avemo e devemlo fare”, e perkè nui v’amemo de gran core e de grand animo, proferesco per nui e per quisti altri a vui le nostre persone e’l nostro avere, in corte e for de corte, in çascuna parte, e far e dicer quello ke sia grandeça e honor de voi, e’l meglo de vostra visenda. Unde voi siti ben savio e rekederiti nui si como serà vostro placere, e nui seremo ad hobedire a vostra rekesta integramente »23.

In generale sulla lingua dei testi presi sin qui in considerazione basti riportare il giudizio, che pare ad oggi condiviso dagli storici della lingua, di Luca Serianni :

« Solo una città sembra voler contendere alle città toscane il primato della lingua : la Bologna del diritto e delle scuole di retorica. Ernesto Monaci nel 1884 aveva creduto di additare nella città emiliana la culla della lingua poetica italiana, con un’ipotesi presto accantonata ; mentre l’immagine di una Bologna fucina della prosa d’arte, disegnata dallo stesso Monaci nel 1888, ha goduto di maggiore e non ingiustificata fortuna. Una fortuna patrocinata da un nome, quello di Guido Fava, l’autore della Gemma purpurea e soprattutto dei Parlamenta et epistolae, e da un giudizio, quello di Dante che in De vulgari eloquentia, I, xv, 2 dichiara di condividere l’opinione di coloro “qui Bononienses asserunt pulcriori locutione loquentes”. Andrà precisato che pulcriori non può essere un comparativo assoluto e le traduzioni che ricorrono a un superlativo relativo sono immotivate. Dante non dà a un singolo dialetto la palma rispetto agli altri ; si limita a riconoscere al bolognese, per il suo contemperamento tra l’effeminato romagnolo e l’yrsutum lombardo – veneto, un titolo di merito (che poi in questo riconoscimento entri l’ammirazione dell’Alighieri per la cultura bolognese e magari la sua familiarità con quella parlata è ben probabile, ma non sposta i termini della questione). Pur ridimensionato nella sua portata, il giudizio di Dante è significativo anche perché sembra fare riferimento a un’opinione corrente, testimoniando del prestigio raggiunto dal bolognese presso i contemporanei. E ancor più significativo è Guido Fava. La lingua delle sue due opere è un bolognese illustre, fortemente latinizzato. I tratti dialettali più spiccati vengono schivati ma non eliminati del tutto. Qualche forma sembra toscaneggiante, ciò che sorprenderebbe data l’altezza cronologica di un testo composto nel quinto decennio del XIII secolo. Dal latino medievale si riprendono le caratteristiche clausole ritmiche (il cursus) e allo stile isidoriano rimanda la sua prosa ritmata »24.

La fortuna di un testo come le Arringhe di Matteo dei Libri – testimoniata dai rimaneggiamenti del notaio Giovanni Fiorentino da Vignano (Flore de parlare o Somma d’arengare) e del notaio fiorentino Filippo Ceffi – chiarisce il successo di un vasto settore della letteratura volgare, quello cioè della cosiddetta “letteratura podestarile” studiato da Enrico Artifoni25, nel quale rientrano, oltre ai testi sin qui citati, anche il Fiore di virtù, scritto forse dal bolognese Tommaso Gozzadini (1260 ca. - post 1329) probabilmente tra il 1313 ed il 132326, ed il Fiore di rettorica ; testo quest’ultimo (scritto tra 1258 e 1266) coevo alla Rettorica di Brunetto Latini ed attribuito in una delle quattro redazioni giunte ai nostri giorni a frate Guidotto da Bologna ed in un’altra a Bono Giamboni27.

II. I notai bolognesi e la poesia in volgare

La dimestichezza dei notai bolognesi con la poesia volgare dell’Origini è un tema su cui studiosi di formazione diversa si interrogano da tempo (a partire dagli studi pionieristici nel corso dell’Ottocento di Giosue Carducci e Michelangelo Gualandi). Grazie a contributi ed a nuove acquisizioni siamo sufficientemente informati sulla circolazione della poesia volgare tra Due e Trecento nell’ambiente notarile bolognese28. Sono infatti testimoniati oltre cinquanta notai bolognesi che, tra il 1279 (del 1272 è una parafrasi del Pater noster) ed il 1333, hanno esemplato sui fogli dei Memoriali 120 componimenti poetici in volgare. A partire dall’ultimo decennio del Duecento, ma soprattutto durante i decenni iniziali del Trecento si annoverano alcune decine di notai forestieri (impiegati nella curia podestarile e nella familia del capitano del popolo) anch’essi usi a scrivere liriche in volgare (circa 70 testi), sebbene di regola sulle coperte pergamenacee dei registri29.

Le rime sono generalmente anonime, ma diversi testi sono attribuibili a Giacomo da Lentini, re Enzo, Guido Guinizzelli, Guittone d’Arezzo, Bonagiunta Orbicciani, Fabruzzo Lambertazzi, Dante Alighieri, Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Gerardo da Castelfiorentino, Cino da Pistoia, Onesto degli Onesti e ad altri. I versi sono opera di trascrizione (a memoria o da antigrafo), ma non è da escludere che alcuni di essi siano il frutto d’invenzione dei notai medesimi. La collocazione dei testi non risponde ad un principio ordinatore univoco (essi possono trovarsi al termine di una pagina contenente atti privati in latino oppure in una zona vestibolare del registro), talvolta i componimenti sono accompagnati da rubriche marginali che ne indicano la forma metrica, raramente invece suggeriscono il nome dell’autore30.

I componimenti esemplati sulle carte dei Memoriali e sulle coperte pergamenacee dei registri podestarili e del capitano del popolo sono essenzialmente canzoni (o stanze di canzone), ballate, sonetti, sirventesi, terzine dantesche e forme metriche in versi non regolate.

A proposito della molteplicità dei registri tematici presentati dalle nostre liriche è utile proporre l’efficace sintesi articolata in un contributo recente da Giorgio Marcon : « Nacque così “entro la prassi documentaria pubblica” una corposa, per quanto eccentrica, tradizione manoscritta, solcata da un’ampia polifonia di registri tematici e stilistici in cui confluivano, accanto ai testi più aristocratici dello stilnovismo, quelli più umili della letteratura popolare e giullaresca, della scuola siciliana, della poesia realistica toscana, di quella cortese siculo-toscana e della poesia bolognese irradiata da Guido Guinizzelli e da una schiera di minori. La ricezione notarile delle rime volgari si tramutò infatti in una sequenza di piccoli canzonieri, disseminati tra le pieghe dei cosiddetti Libri Memoriali (…) »31.

Gli studi più recenti tendono a porre l’accento sulla consapevolezza dei notai cultori di poesia, nella quale rintracciano la volontà cosciente da parte dei medesimi di “pubblicare”, accanto ad atti pubblici, testi volgari in versi. Si tratta di considerazioni che mutano radicalmente le conclusioni cui era approdata la critica ottocentesca e del primo Novecento, che riteneva quelle trascrizioni semplici tentativi per fuggire la noia, prove di penna poco significative, scritture atte a riempire gli spazi bianchi delle carte per impedirne la falsificazione, manifestazioni ed espressione della cultura popolare e della tradizione orale. Tali tesi furono confutate criticamente per la prima volta a metà Novecento da Santorre Debenedetti32.

A tale proposito particolarmente significative sono le conclusioni cui è giunto Massimo Giansante33 anche a proposito dei “tempi” in cui appare e si manifesta questo singolare fenomeno culturale : « Quest’uso “gentile e tipicamente bolognese”, come si diceva quasi un secolo fa, si estingue senza lasciare tracce negli anni Venti del XIV secolo. Enigmatico nella sua scomparsa più ancora che nella sua fioritura, salvo pensare, come qualcuno ha fatto, all’intervento repressivo di qualche zelante funzionario amministrativo, pronto a ricondurre gli impiegati ad una più stretta osservanza dei doveri d’ufficio. E certo quei compiti dovevano essere ben mutati, restringendosi ormai rigidamente alla materia contrattuale, come erano cambiati radicalmente in pochi decenni lo statuto professionale e la cultura del notaio bolognese. Per una serie di ragioni, fra cui in primo luogo la perdita dell’autonomia cittadina, i limiti dell’iniziativa politica del ceto notarile si erano drasticamente ristretti, i contenuti dell’agire pubblico dei notai rigorosamente tecnicizzati. La centralità politica, sociale e culturale di quel gruppo professionale era definitivamente tramontata : Bologna non era più, oramai, una “repubblica di notai” ».

III. I notai bolognesi e le scritture volgari di carattere pratico

Il terzo paragrafo del nostro studio intende investigare i rapporti eventualmente esistenti tra produzione di scritture volgari d’uso pratico e ceto notarile. Questa sezione dell’intervento costituisce anche la parte più originale del presente contributo poiché è il risultato di una ricerca inedita condotta su due cospicue serie documentarie conservate presso l’Archivio di Stato di Bologna.

La prima delle serie prese in esame è quella dei Memoriali, istituto creato nel 1265, anno di nascita dell’Alighieri ; la seconda è quella degli Estimi cittadini, che copre un arco temporale (1295-1330) collimante con gli anni di vita del poeta fiorentino (morto a Ravenna nel 1321).

III.1. Tre documenti in volgare trascritti nei Memoriali (1304-1311)

Com’è ormai noto da tempo l’Ufficio dei Memoriali fu istituito il 26 aprile 1265 in seguito ad un provvedimento dei podestà (e frati gaudenti) Loderingo degli Andalò e Catalano de’ Catalani (condannati da Dante nell’Inferno, xxiii, 76). Il provvedimento prescriveva ai notai presenti nell’Ufficio dei Memoriali di trascrivere gli atti privati superiori alle 20 lire bolognesi in appositi registri denominati appunto Libri memorialium, trascorsi non oltre due giorni dalla stipulazione del contratto. Tra gli obiettivi principali che il legislatore si proponeva di raggiungere con quella norma vi era senza dubbio quello di evitare la circolazione di documenti falsi ; non a caso la mancata registrazione inficiava la validità del contratto. La serie documentaria comprende registri originali, cioè depositati direttamente negli armadi del Comune e copie destinate ad essere conservate, per maggiore sicurezza, negli archivi degli ordini mendicanti bolognesi. I Libri memorialium sono conservati in 322 volumi e coprono un arco temporale assai ampio (1265-1436). L’istituto soppresso negli anni ’30 del XV secolo dal cardinale Bessarione, legato pontificio al servizio di papa Nicolò V, fu poi sostituito nel 1452 dall’Ufficio del Registro34.

Nei volumi dei Libri memorialium – limitatamente agli anni qui presi in esame (anni ’60 del Duecento anni ’30 del Trecento) – sono stati registrati migliaia di atti privati, tutti in latino, ad eccezione (almeno parzialmente) di tre documenti, dei quali due furono segnalati da Alberto Trauzzi ed un terzo è stato edito da Maria Corti35.

Il primo dei tre documenti è un atto di restitutio registrato, nel volume 112 dei Memoriali a c. 220v-221r, il 29 marzo 1306 dal notaio Francischus Rolandi Falchonis. Dal tenore dell’atto si deduce che il dominus Salarolus quondam domini Zagniboni de Salarolis, residente a Bologna, nella cappella di San Vitale, facendo redigere il proprio testamento al notaio Jacobus quondam Symonis, aveva stabilito di lasciare a sua figlia Giovanna un legato testamentario che gli riconosceva 350 lire bolognesi. In seguito i figli del testatore (Guido, Zagnibone, Faciolo, Tancredino e Bongiovanni) si erano impegnati a soddisfare il lascito testamentario paterno a favore della sorella creandole la dote necessaria al matrimonio con Pietro di Giovanni de Castaldis, residente a Bologna nella cappella di San Vitale. La dote venne poi permutata con alcuni terreni dell’eredità Salaroli, ma, dopo tre anni, i beni furono restituiti da Giovanni Castaldi ai fratelli della moglie, ottenendo in cambio la promessa di soluzione del pagamento della dote. Il notaio trascrivendo il contratto di restituzione nel Memoriale inserisce anche una « cedullam banbucinam » contenente la dichiarazione degli interessati scritta di pugno di Pietro Castaldi in « sermone volgare » e da questi « sigilatam sigilo », dopo che tale cedola era stata riconosciuta dal notaio Stefano di Bernardino Curioni presso l’abitazione degli eredi Salaroli :

« ¶ Pero de ser Zoanino de Chastaldi de la capella de San Vitale permeto a Guido et a Faciolo e Bonçoane e a Tranchedino, figloli che forno de Salarolo de Salaroli de la dicta capella de renderli la terra, la quale il àno dao a la Zoana per la dote soa, che erano tressento quinquaginta lbr. bon., chi lasò lo patre in lo sô testamento, la quale terra eo li do rendere pagandomi li tressento quinquaginta lbr. de bon., dentro qui e tri anni che den’ venire ; le quay carte fe’ Stephano de Bernardino de la dita terra che eo in pagamento da loro et da la deta Zoana, fona questa scripta in Mccciiij die decimoseptimo mensis de febraro in la staçone di Poeti in pressentia de quisti testimoni : domino misser Pero Poeti e domino misser Bonbologno de Pegoloti e domino Polo de misser Ameo de Poeti, de mia voluntate et de mia mane scripta e sigilata questa scripta de meo segello. Eo Pero de ser Zoane de Poeti testimonio ; eo Bonbologno Pegoloto fui clamà’ pressente a la dicta scripta, eo Polo de misser Amedeo de Poeti fui testimonio a questa scripta. »

Il secondo documento che prendiamo in esame (seguendo un criterio cronologico) è stato pubblicato, per quanto riguarda la parte in volgare, da Maria Corti ed a quella edizione ed al commento linguistico che del documento fa la studiosa pertanto rimandiamo. Ciò che la Corti non ha fatto, perché non inerente ai suoi interessi, è stato descrivere il contesto che portò alla redazione dell’atto. Questo fu registrato il 25 gennaio 1309 dal notaio Albertucius Bonagloli de Maranensibus a c. 164r del volume 118 dei Memoriali. Si tratta a differenza del primo e dell’ultimo degli atti in volgare qui presi in considerazione di un documento pubblico, in cui il funzionario comunale Nicola di Buvalello, addetto all’ufficio dei mulini, dopo avere ottenuto l’autorizzazione dal proprio ufficio concede la licenza a Gruamonte Lambertini di dare inizio e di portare a termine a vantaggio e ad utilità del comune di Bologna le operazioni previste nella cedola volgare.

Il terzo ed ultimo dei documenti è un atto di ratificatio, aprobacio scripturarum registrato il 20 marzo 1319, a c. 22r-v del volume 137 dei Memoriali, dal notaio Zanochus quondam Nicholai de Bechadellis. Dall’atto si deduce che il dominus Cursius quondam domini Vicencij, mercante residente a Bologna, nella cappella di San Dalmasio, alla presenza del dominus Jacobus quondam domini Philippi Bordonalis de çovençonis e di alcuni testimoni, aveva consegnato un documento scritto di sua mano ad un notaio, che, dopo avere proceduto alla lettura del documento (« vixis et lectis cordellis de banbucine scriptis manu dicti domini Cursoli ») e in seguito avere raccolto la dichiarazione (che risulta conforme all’atto scritto in volgare) dei due soggetti del negozio giuridico (cioè di Corso di Vincenzo e di Giacomo Zovenzoni), procede alla sua insinuazione nel registro :

« Al nome de Dio amen gli agni del nostro Signore sieno Mille Trecento undexe, die xvij de março, Jacobo de Philippo Bordonale dè’ avere da mi Corsollo de Vicenço mercadante da Bologna iijc ll. de bon., gli quai dinarij me prestò e demegli numerati lo dito die ; de quai eo comparai pagni da Milano e da Fiorença per fare la mercadandia mia de pagni çenti et renoneo ad omne exceptione chegloa dinarij no foxeno dati et numerati comeditam ad onne defessi che per mi fese stip. solepne doveregla rendere tra qui a du misi in la cità de Bononia, dare et pagare per mi in omne terra et logo de dita quantità de dinari in obbligo ab predicti presenti tuti quigli mei bomque in questa scripta mobili et immobili che ò et avrò constituto posedere per lui ; in fine che l’avrò sotesfacto de la dita quantità eo dò libera podestà ch’el possa intrare in tenuta de tuti gli mei tereni et eo Corxollo sì ò fato questa scripta de mia mane et sigilada del meo sigello de cira vermegla per più fermeça. »

« (…) A ·nnome de Dio amen gl’ani del nostro Signore sieno Mille iijc xvj, die xxvij de luglo, Jacomo de Philippo Bordonalle dè’ avere da mi Corxollo de Vicenço mercadante iijc libr. de bon., gli quai me prestò lo dito die, di quai eo conpara’ pagni da Milano et da Fior. per fare la mercadandia mia di pagni genti. Promitto a lui de dover gla redare tra qui a dui misi in la cità de Bononia tuti gli mei bem constituto possedere per lui çoè dono hedifficio de casa posta suxo ’l tereno che ·ffoe di Scanabici in lo Mercà’ de Meço, posto quello ’difficio su la ruga de’ Pillicari et su la ruga di Palanclari36, lo qual edifio obliga al predicto ch’ello possa tora a ·sso albitrio. »

I tre documenti qui descritti, da un punto di vista diplomatistico paiono assai interessanti, sebbene per ragioni differenti che necessitano di un ulteriore approfondimento d’indagine. Ciononostante segnaliamo a riguardo del primo contratto (17 febbraio 1304) che esso è chiaramente un patto tra privati ed in quanto tale è redatto in forma autografa da una delle due parti. Per tali ragioni l’atto non fu esemplato da un notaio né tanto meno ebbe la forza giuridica per essere insinuato nei Memoriali. Ne consegue che la scrittura poté essere scritta in volgare e non nella lingua degli atti pubblici, ma da ciò deriva anche il fatto che esso per acquistare valore legale debba essere per così dire “incernierato” in un atto scritto in latino, redatto da un notaio, che riconosce in quella scritta la volontà giuridica delle due parti contraenti, volontà confermata anche oralmente dopo un attento accertamento. In seguito a tale processo di vidimazione l’atto è inserito nei Memoriali da altro notaio, addetto in qualità di funzionario pubblico all’Ufficio dei Memoriali.

Il secondo atto presenta diversi aspetti che lo rendono un documento atipico nel panorama dei contratti registrati nei memoriali bolognesi. Innanzi tutto il documento è privo dell’indicazione cronologica, inoltre non presenta nel margine l’indicazione del tenore giuridico (fenomeno meno rilevante) ed infine risulta essere di fatto l’esecuzione di un provvedimento di un ufficio comunale.

Il terzo documento, come il primo del resto, necessita per avere forza giuridica di essere corroborato da un notaio e di essere inserito in una forma documentale scritta in latino.

Da quanto osservato possiamo affermare che le considerazioni generali fatte a proposito del primo e del terzo documento sono valide anche per un’altro documento bolognese. Si tratta dell’atto privato (una divisione patrimoniale), redatto il 7 aprile 1295 dal famoso notaio Enrichetto delle Querce per una famiglia di facoltosi mercanti bolognesi, quella dei Pavanesi, già pubblicato da Giovanni Livi e conservato nei fondi documentari dell’Archivio di San Francesco, oggi presso l’Archivio di Stato di Bologna. Non a caso l’atto, pur essendo stato redatto da un notaio, per la sua natura e forma non fu registrato nei Memoriali37.

A conclusione del paragrafo ci preme aggiungere solo una constatazione del resto ovvia, ma che non pare comunque inutile in questa sede evidenziare, secondo cui è proprio il ceto mercantile a privilegiare l’uso del volgare. Ciò costituisce un fattore di conferma del giudizio di Boncompagno da Signa, poco sopra riportato, ed un elemento che emerge, come si vedrà tra breve, anche dall’analisi dei dati restituiti dall’esame degli estimi cittadini di fine Duecento e del primo Trecento.

III.2. Gli estimi in volgare (1295-1330)

La seconda serie documentaria da noi presa in considerazione è, come gia accennato, quella degli estimi cittadini relativi agli anni 1296-1330. Si tratta di cedole pergamenacee e cartacee conservate sciolte in 266 buste ordinate secondo un criterio topografico (seguendo cioè la ripartizione urbana delle circoscrizioni amministrative minori, che fanno capo ai quattro quartieri e che costituiscono le novantanove cappelle cittadine conservate in ordine alfabetico) e cronologico38.

Nelle cedole sono riportate le dichiarazioni dei redditi riguardanti proprietà immobiliari, animali, crediti e debiti, ma tra le buste sono conservate pure le dichiarazioni di « qui nichil habent », come quella del magister Jacobus pictor quondam Geradi :

« Jn primis dixit et manifestavit se nichil habere in bonis pro quibus possit facere extimum nisi artem suam pictorie quam facit et exercet »39.

Gli estimi del comune bolognese non sono giunti a noi integralmente e le serie che si conservano lo sono solo in maniera frammentaria. Ciò nonostante sono custodite nell’Archivio di Stato di Bologna, tra ruoli d’estimo e cedole sciolte, le denunce dei redditi a partire dall’anno 1235 per il contado e dall’anno 1296 per la città.

L’estimo fu introdotto in seguito all’affermarsi del ceto artigianale e mercantile, che optò per un modello di fiscalità di tipo “per capitale” (teso quindi ad accertare le proprietà) e non in base al reddito effettivo pro capite ; con tale scelta veniva svantaggiato il ceto aristocratico e fondiario. Nel corso di quasi un secolo, a partire appunto dal 1235, furono promossi dall’istituzione comunale dieci estimi (1239 ; 1250/52 ; 1279/82 ; 1287/88 [tutti questi oggi andati perduti] ; 1296-97 ; 1304-05 ; 1307-08 ; 1315-16 ; 1327 [cedole bruciate] ; 1329-30).

Noi ci siamo occupati esclusivamente delle cedole d’estimo sciolte, le quali presentano un formulario fortemente tipizzato, sebbene dalle maglie sufficientemente larghe da consentire di frequente riflessioni personali, notazioni autobiografiche, scritture autografe ed in volgare. Si veda ad esempio il caso di Tommasina del fu Scotto de Castro Brittonum, residente nella cappella di San Martino dei Santi, che presentando la propria denuncia dei redditi ricorda agli ufficiali vicende politiche recenti riguardanti alcuni membri della famiglia dei Castel dei Britti (mandati in esilio perché ghibellini), nei confronti dei quali Tommasina vanta un credito pecuniario, che non crede di potere incassare :

« ¶ Jn primis quod recipere debet a Guidone Saglimparte, Matheo, Hoderico et Guillielmo fratribus et filiis condam domini Scotti de Castro Britonum vel ab eorum heredes ducentas librarum Bononie de parte unius debiti quadringentarum librarum Bononie, quas predicti dare promixerunt Petro domini Hoderici de Castro Britonum stipulanti vice et nomine dicte domine Thomaxine ex causa mutui, et dicit quod de aliis ducentis librarum Bononie sibi satinsfactum est et posite sunt in extimo dicti domini çangarelli sui viri, dictas vero ducentas librarum quas remansit ad habendum recuperare non potest propter inopia debitorum qui nichil habunt nec sperat posse recipere nisi perveniat ad pingui orem Fortunam quod videtur quasi impossibile cum sint banniti comunis Bononie pro parte Lambertaciorum unde placeat vobis considerare predicta ne honeretur de eo quod non habet commudum nec sperat habere »40.

Il formulario prevede di regola che alle normative indicazioni topiche e croniche (cioè l’anno, il quartiere e la cappella di residenza del contribuente) segua la presentazione del contribuente, grazie all’indicazione di alcuni dati, in parte necessari ed in parte accessori, come nome, cognome, patronimico, professione, luogo di nascita o di provenienza, soprannome (nel caso si tratti di denunce femminili il patronimico è talvolta affiancato dal nome e dal casato del marito), l’eventuale cambio di residenza, il riferimento alla precedente dichiarazione dei redditi, di cui si indica anche la cifra.

A questa prima fase il contribuente ne fa seguire una seconda in cui sono registrati gli immobili (di solito alla dichiarazione dell’abitazione cittadina di residenza seguono le altre ed eventuali proprietà immobiliari urbane ed extraurbane), il bestiame se ne possiede (spesso dato in affitto) ed infine crediti e debiti (come emerge dalla posta seguente) :

« Jtem tenere dare et solvere predictis factoribus de Scalis de Florentia, qui morantur jn strata Sancti Stephani, jn una parte xx flor. auri - et habunt pro pignore unum suum Codicem (…) et habunt pro pignore duos suos libros legalles silicet Digestum novum et Jnfortiatum »41.

Dalla somma denunciata nell’estimo gli ufficiali comunali ricavano l’imponibile da versare nelle casse erariali, in seguito ad un procedimento complesso che prevede la presentazione delle denunce, raccolte in filza da ufficiali preposti all’accoglimento delle cedole (in genere due notai per quartiere), ad un gruppo di revisori d’estimo che stabiliscono, dopo avere rendicontato tali denunce, l’imponibile netto cui sottoporre ciascun contribuente. Un passaggio di tale processo riemerge da una nota apposta in calce ad una denuncia d’estimo dal notaio Bartolomeo de Flagnano :

« Ego Bartholomeus condam Bologniti de Flagnano notarius ut jn quodam filo quod est jn quodam saculo extimj partichularium porectorum dominis ad extima facienda tempore domini Jacobj de Fano ; qui saculus est jn camara actorum comunis ita exemplum scripsi ut supra »42.

Tale cifra era poi riportata sulle carte dei ruoli d’estimo, cioè nei registri, che in parte ancora oggi si conservano, organizzati secondo un criterio topografico (per quartiere e per cappella), cronologico (per denuncia) ed alfabetico (per nome). Il nome di ciascun contribuente è affiancato sulla medesima pagina dalla cifra d’estimo.

Le cedole hanno dimensioni assai diverse : dalle piccole cedole della grandezza di pochi centimetri ai voluminosi quaderni costituiti di decine di fogli. Si pensi per esemplificare al caso poco sopra ricordato del pittore nullatenente e a quello per molti versi opposto del ricco banchiere Romeo Pepoli, studiato da Massimo Giansante43.

Tra le numerose denunce d’estimo presentate tra 1296-1330 solo una minutissima parte è scritta in volgare e di questa solo sei cedole sono state ad oggi oggetto di edizione da parte di Guido Zaccagnini, Maria Corti, Armando Antonelli e Riccardo Pedrini ; altre invece sono state citate e impiegate da Alberto Trauzzi per le sue schede linguistiche sul bolognese dei tempi di Dante44.

I dati affiorati nel corso della ricerca vanno ben oltre i confini delimitati da questo importante convegno dedicato alla lingua dei notai e dovranno essere debitamente approfonditi in un prossimo futuro. In generale è emerso, grazie anche all’elaborazione statistica dei dati ricavati dalla schedatura delle denunce d’estimo, che su 47.796 cedole esaminate solo 78 sono state redatte in volgare, come rappresentato dal seguente grafico :

È stato possibile, inoltre, mostrare all’interno di ciascun quartiere il rapporto esistente tra denunce in latino e denunce in volgare, come visualizzato nell’istogramma che qui proponiamo :

Come si noterà dall’istogramma la maggiore parte delle denunce in volgare si concentra nel quartiere di Porta Ravegnana. Si tratta di un dato ancora meglio evidenziato nel grafico seguente che mostra la distribuzione percentuale delle cedole volgari nei quattro quartieri tra 1296 e 1330 :

Se i due grafici precedenti mettono in luce il dato generale, il diagramma seguente rappresenta l’andamento complessivo e la distribuzione dinamica e diacronica del volgare in ciascun quartiere, rilevando due tendenze costanti : la maggior concentrazione di tali cedole nella zona di Porta Ravegnana, appena descritta, accanto ad una generale e progressiva diminuzione dell’uso del volgare nella compilazione degli estimi.

Se ora passiamo dall’analisi quantitativa ad un altro tipo di lettura dei dati a nostra disposizione, risulta chiaro che allo stato attuale delle ricerche solo una delle settantotto cedole è stata, senza dubbio, redatta da un notaio. Si tratta della denuncia d’estimo del 1296 di Andalò di misser Fabiano, residente nella cappella di San Bartolomeo del quartiere di Porta Ravegnana. Il notaio si trova cioè a vivere nella zona urbana in cui maggiore è la concentrazione di estimi in volgare. Il che è un dato estremamente significativo se pensiamo che quella è la zona urbana con la maggiore densità di mercanti e banchieri forestieri (soprattutto toscani) ed è il luogo in cui si concentrano le attività mercantili, finanziarie e commerciali più importanti della città. Si tratta di dati che necessariamente devono essere confrontati con quanto scrive Roberto Greci a proposito della distribuzione residenziale urbana dei notai45.

Un altro dato di grandissimo interesse, qualora venisse confermato da un ulteriore approfondimento d’analisi, è quello che emerge dal grafico seguente in cui è rappresentato il rapporto tra cedole volgari redatte da donne e quelle vergate invece da uomini :

Va poi rilevato che dal punto di vista sociologico le dichiarazioni di estimo in volgare coprono un ampio spettro delle attività artigianali e mercantili urbane. Vi sono infatti denunce di mercanti, spadai, cartolai, sarti, speziali, lavoratori generici e nobili.

Dal punto di vista dello storico della lingua, invece, va segnalata, accanto alla consistente presenza di estimi bolognesi, l’esistenza di denunce di forestieri (soprattutto toscani ed in particolar modo fiorentini). E non meno importante è poi notare come le denunce d’estimo in volgare (come quelle latine) presentino una profonda eterogeneità materiale, grafica e linguistica. Solo a mo’ d’esempio si veda la breve denuncia del fiorentino Berto di Manno che ricorda parole espresse e concetti largamente impiegati da Guido Fava e Matteo dei Libri46 :

« ¶ Berto filio Manni de Fiorença, il quale dimora nella cappella di Sancto Iuliano prepone dinançi da voj chome homo povero et bisongnioso, come colui ch’è di tenpo et sença aiuto et sença consilgli et non à nulla che sia nel mondo se ·nnoe la persona ; quella che voi potete vedere, et sopra la persona àne debito bene tre libr. di danari. ¶ xxv ll.|. »

Segnaliamo, infine, come i dati in nostro possesso attestino l’esistenza, all’interno della medesima famiglia, di più di un estensore di cedole volgari (questo è il caso dei da Sala, Surixi, Mezzovillani, Rodaldi), che suggerisce l’esistenza di una tradizione familiare nella redazione di queste, e la possibilità della reiterazione da parte di un contribuente (Benvenuto da Sala) di una denuncia in volgare (la prima nel 1296, la seconda nel 1307).

Conclusioni

La ricerca oggetto di questo intervento, condotta in diversi ambiti di studio e su diverse fonti documentarie, ha portato a risultati che da un lato confermano le più recenti acquisizioni degli storici e dei linguisti, dall’altro gettano luce su aspetti ancora poco noti del rapporto tra produzione di scritture volgari e ceto notarile, aprendo nuovi percorsi d’indagine.

L’analisi delle rubriche statutarie ha rivelato un alterno interesse alla preparazione grammaticale e retorica dei futuri notai, in corrispondenza delle variazioni del prestigio sociale e del peso politico assunto dalla Società dei Notai nel quadro istituzionale bolognese. Più precisamente, si è rilevato il rapporto inversamente proporzionale tra successo politico della corporazione e rigore nell’esame di notariato nel periodo compreso tra il 1246 e il 1304.

Più importanti, tuttavia, appaiono i risultati che emergono dall’analisi dei dati relativi ai testi in volgare trascritti nei Memoriali ed agli estimi cittadini. La quasi totale assenza di documenti vergati in italiano da notai è prova della mancata partecipazione di questi alla creazione di una lingua volgare e manifestazione di un ancoraggio al formulario latino, non solo, com’è ovvio, per la contrattualistica, ma anche per quelle tipologie documentarie che più facilmente si potevano prestare ad un volgarizzamento tecnico. Sono stati, invece, mercanti, banchieri e artigiani, anche forestieri (soprattutto toscani e fiorentini), i più disponibili a sperimentare l’uso della lingua volgare nella redazione di documenti di carattere pratico. In effetti, la massima concentrazione di cedole redatte in volgare si rileva proprio nelle zone maggiormente interessate dalle attività di scambio di beni e servizi, per questa ragione scelte come luogo di residenza dal ceto commerciale e finanziario. Oltre a ciò l’analisi di tale documentazione offre spunti di riflessione anche di natura sociologica : non solo le dichiarazioni di estimo in volgare sono come si è detto rappresentative di gran parte delle attività economiche cittadine, dai lavoratori generici ai nobili, ma una discreta percentuale di queste sarà da verificare se attribuibile direttamente a donne, un dato che potrebbe avviare a nuovi studi.

Da quanto detto finora si può trarre un’ultima, originale, conclusione, ovvero che quello notarile è un ceto fortemente gerarchizzato, non solo socialmente, ma anche (o forse di conseguenza) culturalmente. L’interesse mostrato da alcuni notai al volgare appare, quindi, determinato dall’appartenenza non al ceto professionale, ma ad una élite culturale che prescinde ed è autonoma dall’adesione corporativa.


1 . Sull’argomento si può ricorrere all’articolo di Gianfranco Orlandelli, « I Memoriali bolognesi come fonte per la storia dei tempi di Dante », Dante e Bologna nei tempi di Dante (Commissione per i testi di lingua, Comitato nazionale per le celebrazioni del VII centenario della nascita di Dante, 11), Bologna, 1967, p. 193-205, e ad un articolo recente, dove è possibile recuperare la bibliografia pregressa, di Dorothea Kullmann, « Osservazioni sui Memoriali bolognesi (con un frammento di lauda inedito) », Zeitschrift für romanische Philologie, 119/2 (2003), p. 257-280.
2 . Su Dante e Bologna si vedano almeno Giovanni Livi, Dante suoi primi cultori, sua gente in Bologna, Bologna, 1918 ; Luigi Heilmann, « Il giudizio di Dante sul dialetto bolognese », Dante e Bologna…, p. 151-160 ; « Bologna. La lingua », a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, e « Bologna. Tradizione manoscritta e commentatori », a cura di Fiorenzo Forti, entrambi in Enciclopedia dantesca, I, Roma, 1970, p. 663-667 ; Emilio Pasquini, « Dante e lo Studio », Storia illustrata di Bologna, 4/VI, San Marino, 1987, p. 61-80 ; Aldo Vallone, Antidantismo politico e dantismo letterario, Roma, 1988 ; Saverio Bellomo, « Primi cultori di Dante a Bologna », Bologna nel Medioevo (Atti del colloquio bolognese del 28-29 ottobre 2002), in corso di stampa.
3 . Su questi aspetti sono fondamentali gli interventi di Giovanni Tabacco, « Nobili e cavalieri a Bologna e a Firenze fra XII e XIII secolo », Studi medievali, serie III, 17 (1976), p. 41-79 ; Giuliano Milani, « Da milites a magnati. Appunti sulle famiglie aristocratiche bolognesi nell’età di re Enzo », Bologna, re Enzo e il suo mito, Bologna, 2001 (Deputazione di storia patria per le province di Romagna, Documenti e studi, 30), p. 125-154. Si ricordi ancora il ruolo di primo piano giocato nel corso del Duecento inoltrato (dal punto di vista ideologico, strategico, politico e militare) dalla Società dei Notai e da Rolandino Passeggeri, determinanti nella cacciata dei Lambertazzi degli anni ’70 del Duecento e nella redazione delle leggi antimagnatizie (quelle degli Ordinamenti Sacrati del 1282 e quella degli Ordinamenti Sacratissimi del 1284). Basti ora ricordare l’istituzione del Capitano del Popolo e la compilazione del Liber Paradisus i cui proemi, redatti da notai, sono stati studiati da Massimo Giansante, Retorica e politica nel Duecento, Roma, 1998 (Nuovi studi storici, 48).
4 . Giuliano Milani, « Da milites a magnati… », p. 125-154. Si noti a questo proposito come nel corso del Trecento si assiste anche a Bologna all’affermazione di regimi signorili, a partire da quello del legato pontificio Bertrando del Poggetto (1324-1327). Questo cambiamento istituzionale si riflette nella produzione e nelle modalità di conservazione della documentazione pubblica, ma anche nella diminuzione della redazione sulle carte dei Memoriali delle attestazioni estravaganti di versi volgari esemplati da notai bolognesi. Su ciò si veda Alessandra Fiori, « Alcune Rime dei secoli XIV e XV presso l’Archivio di Stato di Bologna », Studi e problemi di critica testuale, 45 (1991), p. 47-58, si veda in particolare p. 47.
5 . Fondamentali i contributi di Maria Corti, Dante a un nuovo crocevia, Firenze, 1982 ; Ead., La felicità mentale. Nuove prospettive per Cavalcanti e Dante, Torino, 1983.
6 . Girolamo Arnaldi, « Pace e giustizia in Firenze e in Bologna al tempo di Dante », Dante e Bologna…, p. 163-177, in particolare alle p. 165-166.
7 . Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267, a cura di Luigi Frati, t. II, Bologna, 1869 (Monumenti istorici pertinenti alle provincie della Romagna, serie I, Statuti), Libro VIII, rubrica I « De tabellionibus non fatiendis sine examinatione ».
8 . Lo statuto della Società dei Notai di Bologna dell’anno 1288 è stato edito da Giorgio Tamba in appendice all’articolo « L’Archivio della Società dei Notai », Notariato medievale bolognese (Atti di un convegno, febbraio 1976), t. II, Roma, 1977 (Studi storici sul notariato italiano, 3), p. 190–283, a p. 262-264, rubrica 21, « Forma examinationis eorum qui volunt fieri notarii et qui non possunt fieri notarii et habere offitia ».
9 . Statuti di Bologna dell’anno 1288, a cura di Gina Fasoli e Pietro Sella, t. II, Città del Vaticano, 1939 (Studi e Testi, 85), Libro VII, rubrica I, « Quomodo et qualiter creari debeant tabelliones per comune Bononie ».
10 . « Boattieri, Pietro », a cura di Gianfranco Orlandelli, in Dizionario biografico degli Italiani, 10, Roma, 1968, p. 803-805 ; « Giovanni di Bonandrea », a cura di Franco Lucio Schiavetto, ivi, 55, Roma, 2000, p. 726-729.
11 . Statuti della Società dei Notai dell’anno 1304, in Statuti delle Società del popolo di Bologna, a cura di Augusto Gaudenzi, vol. II, Società delle Arti, Roma, 1896 (Fonti per la Storia d’Italia, 3-4), rubrica XXXXI, « Quod illiterati et indocti notarii de matricula nostra tollantur », p. 40-41 e rubrica XXXXIIIII, « Forma examinationis eorum qui volunt fieri notarii et qui non possunt fieri notarii nec habere officia », p. 43-45.
12 . Giorgio Tamba, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna, 1998 (Biblioteca di storia urbana medievale, diretta da Antonio Ivan Pini, 11), p. 297-353.
13 . Giorgio Tamba, La società dei notai di Bologna. Saggio storico ed inventario, Roma, 1988 (Pubblicazione degli Archivi di Stato, Strumenti, 103), p. 49-51.
14 . Salatiele, Ars notarie, a cura di Gianfranco Orlandelli, Milano, 1961 (Istituto per la storia dell’Università, Opere dei Maestri, II), p. 3. Sull’intera questione si veda Gianfranco Orlandelli, « Appunti sulla scuola bolognese di notariato nel secolo XIII per una edizione della “Ars notarie” di Salatiele », Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna, n.s., 2 (1961), p. 3-54.
15 . Giovanni Feo, « “Notariati” bolognesi del secolo XIII tra Salatiele e Rolandino. Appunti di diplomatica », in La norma e la memoria. Studi per Augusto Vasina, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, 2004 (Nuovi Studi Storici, 67), p. 195-212.
16 . « Bene da Firenze », voce redazionale, in Dizionario biografico degli Italiani, 8, Roma, 1966, p. 239-240 ; « Boncompagno da Signa », a cura di Virgilio Pini, ivi, 11, Roma, 1969, p. 721-725 ; « Fava, Guido », a cura di Francesco Bausi, ivi, 45, Roma, 1995, p. 413-419.
17 . La prosa del Duecento, a cura di Mario Marti e Cesare Segre, Milano-Napoli, 1959, p. 7.
18 . Ibid., p. 10.
19 . Rosa Casapullo, Il Medioevo, Bologna, 1999 (Storia della lingua italiana, a cura di Francesco Bruni), p. 93-101.
20 . Guido Zaccagnini, Le epistole in latino e in volgare di Pietro de’ Boattieri, Imola, 1924, p. 10.
21 . Augusto Gaudenzi, I suoni, le forme e le parole dell’odierno dialetto della città di Bologna, Sala Bolognese, 1989 (ristampa anastatica dell’edizione del 1899), p. XXI-XXII.
22 . Per quanto scritto risultano fondamentali i contributi di Alfonso D’Agostino, « Itinerari e forme della prosa », Dalle origini a Dante, Roma, 1995 (Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, I), p. 527-630, a p. 567-569 ; Id., « La prosa delle origini e del Duecento », La tradizione dei testi, Roma, 2001 (Storia della letteratura italiana, X), p. 91-135.
23 . Matteo dei Libri, Arringhe, a cura di Eleonora Vincenti, Milano-Napoli, 1974 (Documenti di filologia, 19), p. 153-154.
24 . Luca Serianni, « La prosa », I luoghi della codificazione, Torino, 1993 (Storia della lingua italiana, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, I), p. 451-577, a p. 456.
25 . Enrico Artifoni, « I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale », Quaderni storici, 21 (1986), p. 687-719 ; Id., « Sull’eloquenza politica nel Duecento », Quaderni medievali, 35 (1993), p. 57-78.
26 . « Gozzadini, Tommaso », a cura di Giuliano Milani, Dizionario biografico degli Italiani, 58, Roma, 2002, p. 526-528.
27 . « Giamboni, Bono », a cura di Simona Foà, Dizionario biografico degli Italiani, 54, Roma, 2000, p. 302-304 ; « Guidotto da Bologna », a cura di Sonia Gentili, ivi, 61, 2003, p. 466-470.
28 . Adriana Caboni, Antiche rime italiane tratte dai Memoriali bolognesi, Modena, 1941 (Istituto di Filologia romanza della R. Università di Roma, Testi e Manuali a cura di Giulio Bretoni, 23) ; Rime dei Memoriali Bolognesi (1279-1300), a cura di Sandro Orlando, Torino, 1981 (Collezione di Poesia, 170).
29 . Sandro Orlando, « Le rime dei Memoriali bolognesi e di altri documenti : una nuova edizione e alcune riflessioni », Bologna nel Medioevo (Atti del convegno, Bologna, 28-29 ottobre 2002), Bologna, 2003 (Quaderni di Filologia Romanza della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, 17), p. 29-45.
30 . Per quanto si è sin qui scritto si rinvia al contributo di Massimo Giansante, « Archivi e memoria poetica : le rime dei Memoriali bolognesi », Storia, archivi, amministrazione (Atti delle giornate di studio in onore di Isabella Zanni Rosiello, Bologna, Archivio di Stato, 16-17 novembre 2000), a cura di Carmela Binchi e Tiziana di Zio, Roma, 2004 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi, 81), p. 295-309.
31 . Giorgio Marcon, « Cultura notarile e poesia volgare nei memoriali bolognesi (secc. XIII-XIV) », L’Archiginnasio, 89 (1994), p. 229-247, a p. 233.
32 . Santorre Debenedetti, « Osservazioni sulle poesie dei memoriali bolognesi », Giornale storico della letteratura italiana, 125 (1948), p. 1-41.
33 . Massimo Giansante, Archivi e memoria poetica…, p. 305. Si veda inoltre, p. 304: « Fra le prime conseguenze vi fu l’instaurarsi di uno strettissimo rapporto, quasi un’appropriazione da parte del notaio nei confronti dei registri pubblici che gli erano affidati e che egli compilava, autenticava con la sua sottoscrizione e infine consegnava all’archivio pubblico, che ne curava la conservazione. Su questi registri il notaio riversava, soprattutto a Bologna, i contenuti di una cultura tecnica e letteraria estremamente composita, ed anzi onnicomprensiva, in cui convivevano grammatica, retorica, diritto, perizia grafica. Il tutto coerentemente finalizzato all’esercizio di un ruolo civile e politico di primissimo piano e nel contesto di una forte autocoscienza sociale del gruppo professionale » ; ibid., p. 303 : « Dobbiamo dedurne che se le rime si trovano in quelle pagine, ciò avviene in conseguenza di un atto intenzionale e consapevole del notaio, che, con l’altissima coscienza di sé che caratterizza i notai di quest’epoca e di questa città, decide di tramandare quelle testimonianze scritte, garantendo la loro “pubblicazione”, non diversamente da quanto avveniva per le altre scritture ».
34 . Sull’istituzione dell’Ufficio dei Memoriali si vedano L’archivio dell’ufficio dei Memoriali, a cura di Luisa Continelli, Vol. I, Memoriali (1265–1436), t. I (1265-1333), Bologna, 1988 (Universitatis Bononiensis Monumenta, IV), e Giorgio Tamba, « I Memoriali del comune di Bologna nel secolo XIII », Una corporazione per il potere… , p. 199-257.
35 . Alberto Trauzzi, « Il volgare eloquio di Bologna ai tempi di Dante », Documenti e studi pubblicati per cura della R. Deputazione di storia patria per le province di Romagna, 4 (1922), p. 121-163 ; Vita di San Petronio. Con un’Appendice di testi inediti dei secoli XIII e XIV, a cura di Maria Corti, Bologna, 1962 (Scelta di curiosità letterarie inedite o rare dal secolo XIII al secolo XIX, Dispensa, 260), p. 72-73.
36 . Interessante dal punto di vista lessicale per l’altezza cronologica, l’attestazione del lemma ruga, con il significato di vicolo, strada stretta e fiancheggiata da abitazioni e botteghe, spesso accompagnato dall’indicazione toponomastica oppure in relazione con un aggettivo o con un’espressione che ne specifica la funzione o la caratteristica principale (con riferimento all’attività che si svolge e alla provenienza o all’occupazione degli abitanti). Il termine è attestato, tra gli altri, in Giovanni Villani e nello Statuto dei mercanti di Calimala ; per tutto ciò si veda Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, 17, Torino, 1994, p. 216 e pure Bruno Migliorini, « Parole in soffitta », Lingua Nostra, 39 (1973), p. 1-10, a p. 8, da cui impariamo che ruga, nel latino medievale significava strada e fu termine largamente diffuso in Italia durante il Medioevo, anche per influenza del francese, significato poi decaduto all’uso di vicolo.
37 . Giovanni Livi, Dante suoi primi cultori… , p. 191-196.
38 . Sugli estimi bolognesi si veda il contributo fondamentale di Antonio Ivan Pini, « Gli estimi cittadini di Bologna dal 1296 al 1329. Un esempio di utilizzazione : il patrimonio fondiario del beccaio Giacomo Casella », Studi medievali, s. III, 18 (1977), p. 111-159.
39 . Archivio di Stato di Bologna [ASBo], Estimi, serie II, busta 2, Quartiere di Porta Piera (San Pietro), cappella di Sant’Andrea degli Ansaldi, cedola 41 (1296-97).
40 . ASBo, Estimi, s. II, b. 7, P.ta Piera, San Martino dei Santi, cedola 268 (1296-97).
41 . ASBo, Estimi, s. II, b. 2, P.ta Piera, registro dei nuovi estimati (c. 7v), debiti contratti da Albero di Lorenzo con la compagnia degli Scali di Firenze (1296-97).
42 . ASBo, Estimi, s. II, b. 6, P.ta Piera, Santa Maria Maddalena, cedola 225 (1296-97).
43 . Massimo Giansante, Patrimonio familiare e potere nel periodo tardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese (1250 c.-1322), Bologna, 1991.
44 . Guido Zaccagnini, « Una denunzia di estimo in volgare pistoiese del secolo XIII », Archivio glottologico italiano, 1913, p. 488-498 ; Alberto Trauzzi, Il volgare eloquio… ; Vita di San Petronio…, p. 65-70 ; Armando Antonelli e Riccardo Pedrini, « La famiglia e la torre dei Garisendi al tempo di Dante », La Torre Garisenda, a cura di Francisco Giordano, Bologna, 2000, p. 23-89, a p. 61.
45 . Roberto Greci, « Professioni e “crisi” bassomedievali : Bologna tra Due e Quattrocento », Società italiana di Demografia Storica. Disuguaglianza : stratificazione e mobilità sociale nelle popolazioni italiane, II, Savona, 1992, p. 707-729.
46 . ASBo, Estimi, s. II, b. 25, P.ta Ravennate, San Giuliano, cedola 14 (1296-97).