[p. 417] Tipologia documentale nei Libri iurium dell’Italia comunale
Il mio intervento potrebbe aprirsi con l’elencazione delle tipologie documentali prevalenti e costanti nei libri iurium comunali italiani : diplomi imperiali e regi, privilegi o lettere papali, patti e convenzioni tra comuni o con istanze di potere, atti di sottomissione compiuti da signori o comunità del territorio, investiture di tipo feudale, cittadinatici, acquisizioni patrimoniali da parte del comune, locazioni di beni immobili, quietanze di pagamento, tipologie accanto alle quali se ne possono poi trovare altre tipiche delle singole esperienze.
E qui, fino a non molti anni or sono, il discorso apertosi subito si sarebbe chiuso, anzi forse non si sarebbe neppure arrivati ad identificare le tipologie documentali, essendosi a lungo limitata l’utilizzazione dei libri iurium al documento o a gruppi di documenti su un determinato argomento o periodo storico.
Ai libri iurium hanno infatti prestato la loro attenzione, molto prima dei diplomatisti, gli storici, che hanno rivolto il loro interesse a questo tipo di fonti e le hanno abbondantemente utilizzate alla stregua di qualsiasi altro fondo documentario, trascurando così il valore e la portata, anche dal punto di vista storico, della documentazione tramandata nella sua globalità : non si è studiato un documento accanto all’altro e all’altro ancora e poi un gruppo di documenti accanto all’altro o dopo un altro per cercare, se ve ne sono, le ragioni che hanno portato a dare alla documentazione quel particolare assetto, né si sono analizzate le spinte che hanno privilegiato l’inserimento di questo e l’esclusione di quell’atto.
Di qui tutta una serie di edizioni che hanno restituito ai documenti la successione cronologica che nei libri iurium era stata trascurata, e che spesso hanno completamente tralasciato, come elemento superfluo e senza importanza, le sottoscrizioni notarili e le formule autenticatorie.
È piuttosto recente l’interesse degli storici per il documento/monumento1, quindi per il documento in se stesso, indipendentemente dalle notizie che tramanda, come espressione della società che lo ha messo in essere, e di conseguenza per i “cartulari” come documenti/monumenti per eccellenza.
Riferendosi ad essi Toubert afferma : “Meritano senza dubbio la qualifica di monumento in forza del lavoro di costruzione unitaria che è andata di pari passo con la selezione e la trascrizione meditata di documenti di grande diversità [p. 418] tipologica. Tuttavia è chiaro che oggi i cartulari superano la definizione consueta della diplomatica, che vede in essi dei Kopialbücher, semplici raccolte di copie di atti costruite a vantaggio e per iniziativa di una persona fisica o morale. Tale definizione, oltre al fatto che dovrebbe comportare uno studio accurato — in realtà condotto raramente — dei criteri che hanno guidato il trascrittore nella scelta dei documenti, passa sottogamba il carattere spesso composito di un cartulario e quindi il fatto fondamentale che esso è già, nella sua struttura, un documento in se stesso il cui interesse differisce dalla somma degli interessi particolari di ogni documento trascritto2.
Di pari passo hanno proceduto ultimamente i diplomatisti, affiancando alle edizioni dei libri iurium, piuttosto frequenti in questi anni, studi accurati sulle caratteristiche delle raccolte oggetto dell’edizione, illustrate sotto ogni aspetto, e tentativi di analisi globale di questo tipo di fonti3.
Condurre un discorso sulle tipologie documentali dei libri iurium nel loro insieme, avendo a disposizione delle edizione che non sempre forniscono tutti gli elementi utili, pur sulla base di un’analisi delle raccolte inedite, tuttavia non esaustiva, stante la necessità di conoscere a fondo la storia e le vicende archivistiche di ogni comune per cogliere anche i più labili collegamenti tra strutture politiche e forme documentarie risulta praticamente impossibile. Ciò che invece potrò fare in questa sede, avendo presenti nella loro totalità i libri iurium prodotti nei diversi comuni italiani nelle loro caratteristiche generali, grazie anche ad una ormai annosa frequentazione, è tracciare delle linee di ricerca, individuare delle metodologie da applicare, fino a spingermi ad alcune considerazioni ed ipotesi meritevoli e bisognose di approfondimenti e di verifiche.
Prioritaria ed imprescindibile per poter fare qualsiasi discorso di tipo contenutistico è la conoscenza delle caratteristiche strutturali dei registri : è [p. 419] infatti indispensabile comprendere se la raccolta in esame ci è pervenuta nella sua primitiva configurazione e, nel caso non sia così, distinguere la parte originaria dalle aggiunte e dalle sovrapposizioni di materiale spurio o più tardo, casuali o volute, per ricostruire, ove possibile, l’esatta successione che la documentazione aveva nel registro originario, il che ne permette una corretta interpretazione, ed identificare eventuali smembramenti con perdita dei fascicoli o di carte della parte originaria.
E già ci si trova di fronte ad una prima sorpresa : si può dire che i libri iurium, in gran parte, non ci sono pervenuti nella struttura originaria, e su ciò potrebbe avere influito più di una causa, anche se le alterazioni sono di diverso tipo e gravità al fine del nostro discorso.
Innanzitutto — e non a caso la cito per prima per i problemi che ha comportato — l’abitudine di procedere nella redazione su fascicoli sciolti, metodo sicuramente pratico, ma che ha fatto sì che in alcuni casi questi non siano poi stati legati tempestivamente, ma solo a distanza di tempo, o non lo siano mai stati : per questo di alcune raccolte ci è pervenuto solo qualche fascicolo, come i tre di Noli di epoca diversa, che danno l’impressione di non essere mai stati rilegati4, e l’unico superstite di Terni5, mentre a Venezia sono conservati fascicoli sciolti, probabilmente destinati a qualche raccolta documentaria della città6 e alcuni che si presentano molto simili a quelli del Codex Tarvisinus, e probabilmente ad esso destinati, fanno attualmente parte di un manoscritto miscellaneo contenente gli Acta comunitatis Tarvisii7. Anche per Alba è ipotizzabile che a lungo i fascicoli siano stati tenuti sciolti : secondo il Gabotto infatti “un primo corpo del codice attuale fu messo insieme al più tardi verso la prima metà del Cinquecento (la raccolta risale al 1215), poi, cinquanta o sessant’anni dopo, verso il 1600, vennero aggiunti gli altri fogli e quaderni, [p. 420] cioè tutti quelli che si trovavano ancora a quel tempo nell’archivio del comune”8 ; così come per Jesi si procedette ad una prima legatura solo nel secolo XIV, mentre la raccolta risale al 12569 : qui il ritardo nella legatura pare abbia provocato solo l’inversione di due fascicoli, ben diversamente da quanto è avvenuto per alcuni volumi dei Capitoli di Firenze nei quali la tardiva e affrettata rilegatura (fine del secolo XV) ha provocato un tale disordine da fare addirittura sì che alcuni documenti inizino all’interno di un volume e terminino in un altro10.
Sempre alla conservazione in fascicoli sciolti può essere attribuita la sopravvivenza di sole ottanta carte del liber spoletino11, anche se in quest’ultimo caso alla depauperazione potrebbe avere contribuito un secondo elemento di turbamento della struttura originaria : le vicende archivistiche e le successive legature a cui i registri andarono incontro nel corso degli anni. Così avvenne sicuramente per Margheritella, tutto ciò che rimane del registro di Viterbo, iniziato nel 1240, che ha subito nel tempo tre successivi ricondizionamenti12, per il Liber A di Cremona, nel quale sono ancora riconoscibili le tracce dell’antica legatura che unisce alcuni fascicoli della parte originaria, mentre altri sono andati perduti e altri ancora furono aggiunti in epoca successiva tra quelli preesistenti, alterando anche l’ordine della parte originaria13, e per il Liber censuum di Pistoia, alcuni fascicoli del quale sono caduti e l’attuale condizionamento presenta l’inserimento di bifoli legati separatamente nel codice o cuciti insieme arbitrariamente a formare un fascicolo, tanto che spesso un documento inizia in una carta e non termina nella successiva, ma nella corrispondente del bifolio14. Così solo successivamente alla redazione del liber iurium di Parma furono aggiunti [p. 421] alcuni fascicoli non ad esso destinati e conservati a lungo ripiegati in due15, mentre nel Codice B di Orvieto sono stati inseriti bifoli o fascicoli, di formati diversi, che in origine non ne facevano parte16, analogamente Sommissioni 4 — il Libro di Tiberio — di Perugia “ci è giunto mutilo, mal legato, unito ad altro materiale più tardo, parzialmente smembrato”17 e incompleto si presenta anche il Liber Grossus di Reggio Emilia18.
Alterazioni, in genere di minore entità, sono poi intervenute in momenti difficilmente individuabili, anche se, in qualche caso, è possibile che ciò sia imputabile alla prima legatura, come per Gubbio, dove gruppi di documenti esemplati dallo stesso notaio nel 1262 si trovano collocati in punti diversi del registro, alternati con altri gruppi consistenti di copie eseguite alcuni anni dopo19, mentre qualche disordine nella successione dei fascicoli è riscontrabile anche a Fabriano20. È probabile che proprio al momento della legatura iniziale risalga anche la fusione in un unico registro, il Registrum Magnum di Piacenza, di fascicoli, nati già inizialmente per farne parte, con altri due gruppi, il primo dei quali aveva costituito o era destinato a costituire una piccola raccolta a sé, contenente in gran parte documenti relativi ai rapporti del comune con il monastero di San Pietro in Ciel d’Oro21.
[p. 422] Per altre raccolte i danni provocati dalle successive legature e condizionamenti sono stati di minore entità : perdita di alcune carte o di qualche fascicolo, come a Lodi22, Vercelli, Chieri, Alessandria e, probabilmente, Fossano23.
Ben diverso si presenta invece il caso savonese del Secondo Registro della Catena, sebbene, analogamente ad alcune delle raccolte precedenti, si possa constatare l’inserimento di fascicoli in epoca posteriore alla redazione originaria : alla fine del XIV secolo, durante il periodo della dominazione francese nella città ne furono infatti aggiunti tre all’inizio della raccolta. La circostanza particolare è l’aver voluto porre in pole position la convenzione tra Savona e Luigi d’Orléans, alla quale viene dato risalto attraverso l’uso di inchiostro rosso per la rubrica, per le lettere iniziali e per i piccoli trattini aggiunti ad alcune lettere nell’ambito del testo, quasi a voler mettere in evidenza, con questi artifici, che gli danno immediatamente un carattere di maggior solennità rispetto a quello che è il vero inizio del registro, che questo documento doveva idealmente, e non solo materialmente, aprire la raccolta in quel preciso momento storico, alterando così non tanto e non solo la struttura materiale quanto la stessa impostazione ben precisa che al registro originario si era voluto dare24.
Analogamente a motivi ideali si deve l’assenza nel Caleffo Vecchio di Siena dei documenti degli anni del passaggio al guelfismo, spiegabile — se una attenta analisi codicologica confermasse l’ipotesi avanzata dallo Schneider — con l’asportazione dal codice di un fascicolo “allo scopo di obliterare un periodo di lacerazione politica della città”25.
Un’esperienza particolare rappresentano i codici cosiddetti acarnari, che, disponendo la scrittura solo sul lato carne, alternano due facciate bianche a due [p. 423] scritte. Di essi, limitatamente alla produzione viterbese, si è occupata recentemente Cristina Carbonetti, che ha esteso le sue conclusioni anche ad analoghe esperienze di Orvieto e di Siena26, appurando un condizionamento in codice di epoca moderna, mentre in origine avrebbero costituito un intervento parallelo ai libri iurium, con la duttilità e la mobilità che li caratterizza e che viene loro assicurata dalla perfetta autonomia di ogni singolo foglio, contenente un unico documento, il che permette un continuo aggiornamento sia con l’aggiunta, sia con la sottrazione di fogli. Il non essere però nati originariamente per essere destinati alla rilegatura in codice non ne farebbe dei veri e propri libri iurium : un’indagine approfondita in questo senso andrebbe estesa anche a tutti i codici costituiti totalmente o in parte da fascicoli di questo tipo, come quelli di Assisi27, di Cremona28, di Treviso29, per citare solo i casi di cui sono a conoscenza, allo scopo di accertare se anche per questi si può prefigurare un’origine analoga e un condizionamento in questa forma solo tardivo.
In assenza di elementi certi sull’effettiva integrità di un liber, quali la numerazione coeva delle carte e dei fascicoli, è perciò legittimo rimanere dubbiosi, qualora manchino documenti che a buon diritto dovevano farne parte, se ciò non sia imputabile alla caduta di qualche fascicolo o di qualche carta.
Altro elemento importante allo scopo di una corretta interpretazione del contenuto documentario delle raccolte comunali è l’identificazione del momento di inizio : determinanti a questo scopo, in assenza di prologhi, in genere datati o databili, le autentiche delle copie, che, attraverso l’indicazione del mandato, ci forniscono dei termini cronologici piuttosto precisi. Ciò permette di capire in quali circostanze e sotto la spinta di quali situazioni contingenti il comune abbia sentito la necessità di raccogliere in registro la propria documentazione. Diverse e talora fortemente contrapposte sono le situazioni che favoriscono tali iniziative : da un lato momenti di ripresa economica, di equilibrio politico e di pace interna del comune, quindi fasi di ripensamento, come per il Registrum cohopertum de partito rubeo di Viterbo e la conseguente interruzione della raccolta precedente — Margheritella —, che non era più adatta a mettere in risalto la nuova posizione negli schieramenti politici assunta dalla città, divenuta papale30. In altre occasioni la spinta a queste iniziative è invece determinata da situazioni di difficoltà, che rendono tanto più evidente la necessità di conservare adeguatamente [p. 424] la documentazione attestante i diritti del comune : così nascono il Libro Rosso di Fabriano, collegabile alla vertenza tra il comune ed il Rettore pontificio della Marca, del 1287-88, che metteva in discussione le prerogative politiche e giurisdizionali e la sovranità del Comune, in particolare la libera elezione del podestà31, ed il Codex Tarvisinus, conseguente all’assedio di Cangrande della Scala32.
È anche possibile che talora sia invece proprio il collegamento tra le vicende del comune ed il contenuto delle raccolte ad offrire spunti per la datazione : il primo Registro della Catena del comune di Savona non fornisce infatti alcun elemento cronologico, essendo privo di prologo e, per la parte originaria, in copia semplice, tuttavia l’assenza della convenzione con Genova del 1202 si può giustificare collegando l’inizio della compilazione con un’epoca di rapporti più distesi tra i due comuni, sicuramente anteriore alla rivolta e disfatta savonese degli anni 1226-122733. Sempre collegabile ai rapporti con Genova, ma in una fase di tensione, l’origine del Secondo Registro dello stesso comune, che invece si apre proprio con la convenzione con Genova del 1251, il che spiega anche l’abbandono della più antica raccolta che non corrispondeva più al mutato quadro politico34.
Altrettanto importante, anche se più difficile, ricostruire le tappe successive, i momenti di pausa e di ripresa, per identificare in quali circostanze il comune abbia attribuito una particolare importanza alla salvaguardia e alla valorizzazione del proprio patrimonio documentario e per evidenziare eventuali deviazioni rispetto agli interessi e alle finalità della raccolta. E faccio un esempio per tutti : la Margarita cornetana, iniziata nell’ultimo decennio del secolo XIII e continuata poi, dopo una pausa, con successivi inserimenti a partire dagli anni 1358-1360, contiene nella parte originaria documenti relativi alla vita interna del comune, mentre i fascicoli aggiunti conservano soprattutto materiale sui rapporti di Tarquinia con la Chiesa e in particolare con la curia del Patrimonio, motivabile con la progressiva perdita di autonomia da parte del comune ed il suo conseguente impoverimento a favore della Chiesa, a partire dai primi decenni del XIV secolo35.
I non frequenti prologhi accennano in qualche caso alle ragioni di ordine pratico che hanno presieduto alle raccolte : pericolo di dispersione di un patrimonio [p. 425] documentario di fondamentale importanza per il comune, rischio di deterioramento a cui erano soggette le pergamene sciolte per l’uso frequente e migliore consultabilità36. Più spesso si fa invece — o anche — riferimento alla intenzione di procedere alla realizzazione di una raccolta documentaria ad utilitatem o ad usum et utilitatem, ad comunem utilitatem37 o ancora, con riferimento alla funzione di memoria storica e celebrativa, ad tractandum et manutenendum honorem et comodum iam dicti comunis38, ad ipsius comunitatis honorem, statum et conservacionem39, ad futuram rei memoriam et evidentem utilitatem reipublice40, ad eternam rei memoriam et comunis…decus, gloriam et salutem41, ad memoriam venturorum42, ad eternam memoriam retinendam43, ponendo l’accento da una parte sull’utilità per la città di una simile iniziativa, dall’altra sulla memoria storica, sul decoro e la gloria che il liber procurava, salvaguardava e tramandava : di questo non dovettero però tenere gran conto i contemporanei ed i discendenti più prossimi, almeno stando alla scarsa utilizzazione che dei documenti, anche su libro, è stata fatta dai cronisti44.
[p. 426] L’iniziativa di procedere alla compilazione di un liber iurium è allora solo una mera operazione di tipo archivistico ? Si ha infatti l’impressione, per quanto fin qui emerso, che, pur sotto la spinta di diverse situazioni storiche, come abbiamo visto, alla base di tutto vi sia il timore del rischio di dispersione e deterioramento dei documenti, a cui si cerca di rimediare, non solo con la messa a libro, ma anche attraverso la frequente duplicazione o triplicazione delle raccolte, realizzate o almeno previste, che avrebbero reso il materiale più facilmente disponibile e, attraverso la conservazione in luoghi diversi, meno soggetto al rischio di depauperamenti o peggio di distruzione45.
Fino a che punto quindi i libri iurium sono collegati o collegabili con il riordinamento dell’apparato documentario e con l’organizzazione archivistica, quindi con il nascere di una generica attenzione alla custodia dei documenti e rappresentano perciò nient’altro che un modo di conservazione alternativo a quello archivistico ?
Parallelismo tra riorganizzazione globale di tutte le attestazioni scritte della vita del comune e libri iurium sono rintracciabili qua e là.
L’iniziativa del Caleffo Vecchio di Siena è stata messa in relazione con uno “sforzo veramente nuovo di organizzazione centralizzata dell’attività documentaria del comune”, a cui fa però riscontro una situazione archivistica caotica, evidenziata da “un materiale documentario ancora mal strutturato, in assenza di una tradizione di rigoroso ordinamento archivistico”, alla quale sono riconducibili un certo disordine del Caleffo e l’assenza di documenti pur sicuramente presenti nella città, tanto che del periodo da questo abbracciato mancano ben 400 documenti recuperati nel successivo Caleffo dell’Assunta46, mentre contemporanea alla decisione di procedere alla realizzazione di un liber fu a Treviso quella della salvaguardia e conservazione degli istromenta hotentica in una arca bona et sicura da collocarsi in camera comunis e della contestuale redazione di un inventario47.
Parallela ad una organizzazione del materiale statutario e ad una sua riforma è la redazione del liber genovese iniziato nel 1229, per volontà del podestà Iacopo Baldovini, molto attivo anche in ambito legislativo48, così come [p. 427] per Vercelli sia le tre raccolte del XIII secolo, sia quella del XIV — I Biscioni — sarebbero correlati alla riforma degli statuti49.
E sicuramente interconnessioni tra libri iurium e raccolte statutarie si riscontrano in più di un’esperienza, dando talora addirittura l’impressione che gli uni e le altre siano complementari.
L’esempio più eclatante è forse quello di Parma, nel cui liber, del 1269, spicca l’assenza totale di diplomi e privilegi o, più in generale, di documenti di autorità politiche superiori, quella pressoché assoluta di atti attestanti i rapporti con altri comuni o realtà al di fuori del districtus e con gli homines del contado, documenti presenti invece negli statuti cittadini : il che potrebbe spiegare questa assenza così clamorosa, essendo forse considerati il volume statutario e il liber o i libri iurium parti di un unico corpo o comunque complementari50.
Ma a questo si possono affiancare altri esempi : due documenti relativi alla Lega Lombarda sono derivati nel liber di Lodi da copie contenute negli statuti51 ; nel Rigestum di Alba sono riportati brani statutari e bandi que potestas tenebatur facere poni in libro qui vocatur Regestum52 ; nel 1221 il notaio Vassallo, su mandato del vicario del podestà di Alessandria, inserisce nel Liber Crucis un capitulum nel quale si legge che il podestà ed i consoli sono tenuti a farlo autenticare in libro comunis clavato53, così come brani statutari sono presenti nella raccolta di Ferrara54 e due degli anni 1242 e 1258 sono stati trascritti nella parte finale della raccolta di Reggio Emilia del 1228, dalla quale deriva il Liber Grossus55, mentre per Modena si ha notizia di una disposizione in base alla quale dicti iudices et consilium coram eo volunt radere de libris comunis omnia statuta cassata, spia della conservazione in un perduto codice del 1219 di brani statutari che venivano continuamente aggiornati56.
Arduo tentare di dare una spiegazione a queste commistioni senza avere, da una lato, ben presenti le vicende di ogni località, senza considerare, dall’altro, [p. 428] caso per caso, se gli inserimenti di documenti negli statuti e viceversa siano funzionali, ovvero se siano stati dettati dalla comodità di avere a disposizione documenti a cui si faceva riferimento negli statuti o di affiancare alla documentazione capitoli ad essa collegati57.
Uno stretto rapporto con l’archivio manifestano alcune raccolte, proprio nella disposizione del materiale : per Fabriano è stato sottolineato come l’opera dei redattori si sia limitata a riversare nel registro le carte, così come si trovavano nell’archivio, senza alcuna organizzazione preventiva : ciò emerge soprattutto dalla presenza di più trascrizioni dello stesso documento (in ben 24 casi), che non trova altra spiegazione se non in una pedissequa copiatura di tutto ciò che vi era nell’archivio58 ; lo stesso sembra essere avvenuto per il perduto libro di Bovarino e Bartolomeo, conservatoci in copia, e per i quaderni di Suppolino, Benintende, Meliorato e Matteo di Perugia59.
Quest’esperienza spinge Attilio Bartoli Langeli ad affermare che “qualora nei libri iurium si riscontri una qualche organizzazone tematica, ciò dipenda non tanto dal redattore — cioè da una sua opera di sistemazione preventiva del materiale da trascrivere — quanto da preesistenti fattori di tipo archivistico” e a concludere : “Se è così risulta inutile ogni tentativo di razionalizzare una successione che razionale nel nostro senso non è né doveva essere”60. Conclusione piuttosto disperante, che chiuderebbe qualsiasi discorso di tipo contenutistico, ma che deve essere verificata.
È vero che molte raccolte, soprattutto le più antiche, danno proprio quest’impressione : così quelle di Alessandria, Brescia, Tarquinia, il Primo Registro della Catena di Savona e la genovese del XII secolo, se quanto rimane nella trasposizione in Vetustior conserva la struttura originaria, e se ne potrebbero citare altre, per le quali si ha l’impressione dell’archivio travasato in registro.
L’unico spunto di indagine dal punto di vista contenutistico, in questi casi, rimane il confronto tra ciò che è contenuto nel liber e quanto ancora conserva l’archivio, sempre che quanto temuto dai reggitori dei comuni medievali non si sia effettivamente verificato e l’archivio risulti talmente depauperato, inventari compresi, da impedire ogni confronto, come nel caso di Treviso, per cercare almeno di verificare se è stata fatta una qualche scelta e, in caso affermativo, quale e di identificarne le motivazioni.
[p. 429] Questo rimane anche l’unico filone di ricerca per le raccolte caratterizzate da documenti organizzati in ordine cronologico più o meno rigoroso, e sono decisamente poche : il Registro Grosso di Bologna, pur nell’ambito delle sezioni dei diversi notai, e il Liber Iesu di Cremona, più rigoroso all’interno dei singoli fascicoli61, che se rivelano un tentativo di scansione degli atti, offrendocene una lettura molto semplificata, ci privano nel contempo della possibilità di interpretare la successione e l’eventuale strutturazione degli stessi.
Alla luce di questo andrebbe a mio avviso sfumata l’importanza che nel Registro Grosso di Bologna viene attribuita al diploma di Enrico V del 1116, per il fatto di essere collocato in prima posizione. È pur vero che in esso si riconosce l’atto di fondazione del comune di Bologna, tuttavia la preminenza gli deriva semmai dall’essere il documento più antico della raccolta e dall’assenza di tutto il materiale preesistente — del quale andrebbero però valutate consistenza e portata — forse giudicato superfluo a fronte di quello che viene considerato “primo e fondamentale punto d’appoggio per la construzione ardita di un sistema di diritti territoriali, esenzioni ed autonomie giurisdizionali peculiari della civitas”62.
Un indizio certo di una scelta della documentazione da inserire, se non di una sua organizzazione, viene dalle notizie sull’esistenza di commissioni di esperti, che dovevano procedere alla raccolta dei documenti : questo avviene ad Alba, ma limitatamente, sembrerebbe, ai diritti del comune in Trecio e in altre località63, a Brescia64, a Bologna65, a Reggio Emilia66, a Genova per il Liber [p. 430] A e per Duplicatum67, a Todi68, a Firenze69, a Siena70, mentre in altre città era lo stesso podestà ad occuparsi di inserire determinati documenti nei libri iurium, come a Savona, dove egli era tenuto per statuto a far scrivere nel Secondo Registro della Catena tutti gli atti relativi al bosco e, più in generale, omnia alia instrumenta pertinencia comuni Saone71, oppure erano il Capitano e gli Anziani del Popolo, che a Pistoia, in base ad una disposizione statutaria del 1274, dovevano far ricopiare in un liber sive registrum tutti i privilegia, cartas et instrumenta riguardanti i diritti del comune72.
In alcuni casi però gli stessi incaricati procedono ad una strutturazione del materiale per dossier tematici : a Treviso, dove, nella delibera delle curie degli Anziani e dei Consoli dell’8 ottobre 1317 con la quale si formalizza l’iniziativa di dar vita al Codex e ad altre due raccolte, oggi perdute, oltre ad essere nominati due officiales e nove notai, si stabilisce anche che le scritture debbano essere trascritte seriatim et per ordinem, ut de ipsis scripturis ordo sit et possint, cum expederit, facilius inveniri73 ; a Vercelli dove nel 1337-1345 Huius operis et libri (i Biscioni) formam et ordinem dedit laudabilis vir dominus Hugolinus de Scovalochis de Cremona legum professor74 e a Siena : qui per il Caleffo dell’Assunta, vennero nominati tre savi che raccolsero e divisero in gruppi i [p. 431] documenti (molti dei quali si trovavano anche nel Caleffo Vecchio), che nel 1334 consegnarono per la copia ai notai della Signoria75.
Che dietro alla compilazione di altre raccolte stiano parimenti degli esperti, di cui non ci è rimasta traccia, o che questo tipo di intervento sia stato talvolta affidato direttamente ai notai redattori e fors’anche responsabili di alcuni libri iurium, sta di fatto che sono abbastanza numerosi i casi che rivelano una qualche organizzazione, della quale non sempre è chiaro se sia originale o se rispecchi quella dell’archivio, il che non esclude tuttavia un lavoro di selezione e scelta.
Probabilmente riflettono la situazione archivistica quei registri caratterizzati da nuclei documentari omogenei per argomento, mescolati ad altri blocchi in cui invece è più difficile riconoscere una logica, come per il Liber A di Cremona, per le raccolte di Ferrara, di Chieri76, di Fossano, di Ivrea, di Camerino77 e di Pistoia.
Ad intenti di strutturazione in ottica archivistica rispondono le compilazioni monotematiche, quale ad esempio il Liber comunis Parmae iurium puteorum salis78. La scelta di procedere a raccolte separate o di condizionare così la documentazione è probabilmente determinata da ragioni di ordine pratico, per poter cioè disporre dei documenti con estrema facilità, contrariamente alla scelta di altre città che conglobano tutto in un unico registro, nel quale alcune parti diventano però predominanti e costituiscono dei nuclei a sé stanti, come nel caso del Secondo Registro della Catena di Savona, per i documenti relativi al grande bosco, che occupano circa ottanta carte, o dei quasi trecento riguardanti assegnazioni di terre del comune raccolti nel Registrum Magnum di Piacenza, esempi ai [p. 432] quali se ne potrebbero aggiungere altri79, oppure hanno, all’interno delle raccolte stesse, un’intitolazione particolare, come la serie di acquisti, investiture, donazioni, fatti dal comune di Chieri nel 1290-1291, inseriti nel Libro Rosso80, il Liber refutationum factarum de debitis ecc., che inizia a c. 43 del Codice B di Orvieto, o il Liber factus de confinibus plebeiorum et terrarum della stessa città, che fa parte del Codice de Bustulis81, il Liber solutionum et iurium comunis Pistoriensis, il Liber rationum et iurium comunis Pistoriensis e il Liber…census comitis Alberti et nunc comunis Pistoriensis, che ha dato il nome alla raccolta che li contiene82 : veri e propri libri nei libri. Quindi per esperienze come quella parmense si potrebbe dire che il vero liber virtuale sia quello costituito dall’insieme delle raccolte : il Liber puteorum salis appunto e il cosidetto Liber iurium comunis Parmae, completati dai documenti contenuti negli statuti, al di là della collocazione e configurazione materiali ad essi data, perfettamente rispondenti, nel loro insieme, all’immagine tradizionale, almeno dal punto di vista contenutistico, dei libri iurium.
Sia nella costituzione di registri monotematici, sia nell’inserimento di grossi nuclei documentari relativi allo stesso argomento si rivelano particolari situazioni di possibile debolezza del comune, molto attento alla conservazione di tutti i documenti sugli aspetti più delicati della sua vita, per poter disporre di una fonte di certezza giuridica da opporre in ogni caso di contestazione. Quindi è sempre utile rivolgere molta attenzione alle tipologie e agli argomenti dominanti rispetto ad altri e collegarli con le vicende socio-politiche della città.
E veniamo invece ora a quelle raccolte che rivelano chiaramente nella articolazione interna un intervento ordinatore ben preciso.
Non sono poi molte : quella genovese del 1229, non pervenutaci, ma conservata nella trasposizione in Vetustior83, in cui gli atti sono disposti in ordine abbastanza rigoroso, il perduto registro viterbese del 1240, ricostruibile [p. 433] attraverso il repertorio analitico del 128284, il Registro Nuovo di Bologna, del 125885, i Vetera Monumenta di Como, degli anni ’80/’90 del Duecento86, il Liber privilegiorum di Mantova, del 129187, ai quali si potrebbe aggiungere il Libro Rosso di Gubbio, almeno per la parte dovuta al notaio Pietro del 126288.
Tutti questi registri seguono rigorosamente la successione delle diverse tipologie documentarie, ordinandole quasi secondo una scala gerarchica : viene data priorità ai documenti imperiali, ai quali fanno seguito quelli papali — nel solo caso genovese risultano invertiti — per passare agli atti relativi ai rapporti con altri comuni e con il territorio, spesso privilegiando per questi l’ordine geografico, e la politica interna.
Se si considerano le date di redazione si può subito notare come, ad eccezione di Genova, che però rivela una notevole precocità con una prima compilazione negli anni Quaranta del XII secolo, e Viterbo, per la quale è stata ricostruita un’attività di raccolta e conservazione dei documenti molto vivace e matura89, tutti gli altri libri di questo tipo si collocano nella seconda metà del XIII secolo, così come sempre ad un periodo relativamente tardo risalgono quei registri in cui la documentazione è organizzata in modo più o meno rigoroso o che talvolta costituiscono redazioni successive rispetto ad altre dove questa è disposta in maniera disordinata e caotica, come i Pacta et Conventiones di Vercelli, del 1224, posteriori, a mio parere, anche se di poco al volume degli Acquisti, che, sulla base delle date dei documenti contenutivi non va oltre il 1220 e che prende il titolo dalla tipologia documentaria che occupa le prime venti carte circa della raccolta, presentando però nel seguito in tutto e per tutto le caratteristiche di un qualsiasi liber iurium, disordinato e informe, il Caleffo [p. 434] dell’Assunta di Siena (1334-1336), dopo il Caleffo Vecchio, i Libri Albus e Blancus di Venezia (posteriori al 1345), destinati rispettivamente ad accogliere i documenti relativi ai rapporti con l’Oriente e con l’Occidente, che fanno seguito ai volumi dei Libri Pactorum90, per citare solo le raccolte principali.
Si possono quindi distinguere, dal punto di vista contenutistico, due diverse generazioni di libri iurium, espressione già usata da Paolo Cammarosano91, con un significato diverso tuttavia da quello che io intendo ad esse attribuire.
Libri iurium della prima generazione possono infatti essere considerati quelli che si inseriscono in un programma più generale di riorganizzazione e salvaguardia del patrimonio documentario — e sono in genere, ma non sempre, quelli più antichi — che non sono caratterizzati da alcuna strutturazione tematica e se una qualche logica qua e là vi si intravvede questa è probabilmente riferibile alla coeva collocazione archivistica.
Ad una generazione successiva appartengono invece quei registri che costituiscono un’evoluzione rispetto ai precedenti e in molti casi una seconda esperienza nell’ambito dello stesso comune : ben presto ci si rende infatti conto, soprattutto per le città che avevano una produzione documentaria molto ricca, in forza della loro dinamica socio-politica e dello sviluppo economico — e penso in particolare a Genova, Venezia, Bologna — della difficoltà di rintracciare i docu-menti in quel farraginoso ammasso che anche il liber, non diversamente dall’archivio, offriva. Si procede allora all’elaborazione di nuove raccolte con caratteristiche tali da rendere più facilmente recuperabili i documenti : a tal fine si ricorre in molti casi all’opera di esperti, che compaiono solo tardivamente nelle esperienze delle città italiane, incaricati di scegliere quanto era ancora attuale, di fare quindi una cernita, e in qualche caso si stabiliscono anche delle [p. 435] norme, come quella della validità almeno decennale92, che si riferibili agli atti da prendere in considerazione.
Cambiano le modalità di inserimento dei documenti, ma non sembra cambiare la sostanza : si ha l’impressione che anche tali raccolte, né più né meno delle precedenti rappresentino solo un modo alternativo o parallelo a quello archivistico di conservazione. In genere infatti, in questi casi, l’interesse è mirato ad atti relativi alla vita interna del comune, al suo instaurarsi e rafforzarsi sul territorio, in qualche caso ai rapporti con gli altri comuni, mentre sembrano del tutto assenti o scarsamente rappresentati i rapporti con le autorità superiori, che, se presenti, lo sono soprattutto per quanto riguarda situazioni contingenti ben precise.
Da queste si differenziano invece nettamente quelle raccolte, numericamente limitate, che si strutturano, al pari delle precedenti, per argomento, ponendo però in posizione di rilievo gli atti costitutivi del comune come istituto giuridico e, più in generale, tutta la documentazione attestante le tappe attraverso le quali esso ha raggiunto la sua connotazione definitiva, quindi in particolare i diplomi imperiali. Non si tratta infatti in questi casi di una scelta dettata solo da motivi pratici di conservazione ed utilizzazione, ma la raccolta assume un significato diverso, divenendo spia della presa di coscienza del comune, del suo riconoscere in quei documenti i fondamenti della propria costituzione — della quale vengono così affermati i presupposti giuridici — e della volontà di consegnare ai posteri, attraverso il liber, la propria memoria storica.
Anche redazioni che non articolano in modo particolarmente organizzato la documentazione possono rivelare, più o meno apertamente, una determinata finalità o connotazione, al di là dei puri interessi archivistici, soprattutto nella scelta dei documenti a cui dare risalto attraverso una posizione preminente.
Un esempio particolarmente efficace mi sembra quello delle raccolte dei comuni padani aderenti alla prima Lega Lombarda, aperte dalla pax Constantie, in funzione di cardine, di presupposto dell’autonomia cittadina, e penso ai libri di Lodi, Mantova, Reggio Emilia, mentre stranamente è assente in quello di Ferrara e nei libri iurium superstiti di Cremona93.
[p. 436] Diversamente si connota il Secondo Registro savonese della Catena, del 1265, voluto dal podestà, il genovese Simone Doria94, che, mutuando alla lettera il prologo del liber genovese del 122995 e aprendosi con la convenzione tra Genova e Savona del 1251, seguita dalla ratifica da parte di Innocenzo IV96, rivela chiaramente la volontà della Dominante, di evidenziare con immediatezza la posizione di inferiorità della città rivierasca nei suoi confronti, affinché tutto il registro sia da questa improntato97.
Non tutti i casi sono però di facile lettura. E ritorniamo così all’affermazione iniziale che lo studio di ogni registro va affrontato nella sua globalità, senza trascurarne alcun aspetto : solo così si potrà interpretarne correttamente anche il dettaglio in apparenza più insignificante e collocarlo adeguatamente nel contesto socio-politico che lo ha prodotto. Solo quando tutti i libri iurium saranno stati adeguatamente studiati si potrà tentare un vero studio d’insieme, già auspicato dal Torelli98, per coglierne i punti di contatto e le peculiarità e tentare magari di seguire eventuali percorsi attraverso i quali quest’esperienza, tipica dei comuni italiani e anche delle città dell’Italia meridionale, pur in un contesto politico-istituzionale profondamente diverso, può essersi diffusa.
Con l’auspicio che questo tipo di indagine susciti sempre più l’interesse degli studiosi, come sembra stia avvenendo in questi anni, concluderei, ricordando il colophon della parte originaria del Libro Rosso di Ivrea, attraverso il quale il notaio Rubeus sembra tirare un respiro di sollievo al termine della sua opera : Qui scripsit hunc librum ducatur in Paradisum99. E un angolino di Paradiso lo hanno certamente meritato coloro che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi e forse anch’io che ho tentato di addentrarmi nel labirinto di queste molteplici esperienze la cui ricchezza e pluralità è tanto interessante quanto disarmante.