[p. 143] DISCURSO DE CLAUSURA
Ricordo di papa Luna
Ringrazio i promotori del Congresso per avermi dato occasione di rievocare — insieme ai colleghi ed agli amici qui presenti — i ricordi che questo luogo suscita, non solo rispetto alla storia del papato e della Cristianità, in quanto qui si concluse il Grande Scisma, ma anche rispetto alla storia della cultura e della cancelleria pontificia; per l’occasione di tornere gra i documenti e i volumi dell’Archivio Vaticano, che furono me familiari per molti anni.
Il luogo, questo aspro sperone di roccia che si protende a picco sul mare, sembra non rispondente alla grandeza delle memorie che conserva. Così lo descrive un insigne storico spagnolo scrivendo nel 1920: «Qual pintoresco nido de gaviotas encierra actualmente una población pobre, en general de pescadores y campesinos, pero interesantísima por su histórica prosapia. Un día, en los obscurecidos tiempos de la España primitiva, vió llegar en orientales bajeles a sus primeros colonizadores. Fenicia, cataginesa, romana, gótica y árabe, fué siempre la predilecta sede de audaces navegantes; Amílcar hízola su capital militar el mismo año en que levantó los muros de Barcelona; en el presbiterio de su iglesia se cree encontraron sepultura después los primeros discípulos de Santiago; el Conquistador [p. 144] arrancóla, por fin, del poder de la media luna. Pero cuando Peñíscola cobró histórico nombre, fue al refugiarse allí, a fines de 1415, cual náufrago lanzado por el temporal, el nonagenario Pedro de Luna» (S. Puig y Puyg, Pedro de Luna, último papa de Aviñón, Barcelona, 1920, p. 363).
Oggi lo scenario è mutato, ma resta pur sempre il contrasto tra le mura disadorme e la grandezza dei ricordi. Tutto parla di lui, il suo spirito sembra presente in queste sale che lo accolsero per sette lunghi anni, gli anni più tristi della vita, che aveva avuto momenti di esultanza e di amare delusioni.
Fu certo un uomo di grandi doti morali, riconosciute anche da chi lo avversava; ma per noi moderni è difficili cogliere il senso intimo di una continuità spirituale nei diversi momenti della sua vita. Nato in un piccolo castello dell’Aragona (sembra nel 1328), di noble famiglia, aveva studiato a Montpellier, dove aveva pure insegnato diritto canonico, volumen decretorum pluribus annis ordinarie legit (come attesta un biografo). Il papa Gregorio XI, che ebbe a stimarlo, lo aveva nominato cardinale della diaconia di S. Maria in Cosmedin e gli aveva affidato importanti missioni diplomatiche inviandolo in diversi Paesi come legato a latere. Accompagnò a Roma il papa, abitando a Tor Sanguigna, presso piazza Navona. Morto Gregorio, aveva partecipato al conclave sostenendo l’elezione di Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, che prese il nome di Urbano V. L’elezione era avvenuta in mezzo al tumulto popolare, ma era canonicamente valida. Dopo pochi mesi Pedro de Luna, forse amareggiato dal comportamento duro e intransigente del nuovo papa — al quale Santa Caterina da Siena dava inutilmente consigli di dolcezza — partecipò ad una riunione di cardinali dissidenti ad Anagni; si convinse della nullità dell’elezione avvenuta sotto la minaccia del popolo di Roma che gridava «Romano lo volemo o italiano». Di fatto i cardinali, subito dopo l’elezione, avevano inscenato una specie di farsa, per guadagnare tempo salvare la vita, presentando al popolo un falso eletto, il vecchio cardinale Tibaldeschi. Pedro partecipò così al conclave di Fondi, che elesse papa il cardinale Roberto di Ginevra, Clemente VII. Era lo scisma, [p. 145] e con esso comincia il comportamento ostinato di Pedro de Luna.
Non occorre qui ricordare nei particolari le complesse vicende successive, i tentativi di riunificazione della Chiesa e gli interventi dei principi; basti accennare ai momenti più saliente della penosa controversia per quanto riguarda il nostro personaggio.
A Roma, nel 1389, Bonifacio IX era succeduto a Urbano. Nel 1394 la morte di Clemente VII poteva essere una buona occasione per mettere fine allo scisma, ma i cardinali dissidenti, riuniti ad Avignone, elessero a primo scrutinio, con voto unanime, come persona di gran prestigio, Pedro de Luna, che prese il nome di Benedetto XIII: essendo diacono, con una solenne cerimonia fu insieme ordinato prete, consacrato vescovo e coronato papa. La Cristianità restò divisa: non era a tutti chiara la validità dell’elezione alla luce del diritto canonico, ma il domenicano Vincenzo Ferrer, che poi fu proclamato santo, fu dalla parte di Papa Luna, ed anzi suo consigliere e confesore. Naturalmente tutta l’Aragona accolse con giubilo la notizia dell’elezione di un papa spagnolo, originario della sua terra; altri potentati d’Europa accolsero la notizia in diverso modo, cambiando poi campo secondo gli interessi politici.
I due papi antagonisti, fermi nei loro rispettivi diritti, si scomunicarono a vicenda, mentre università ed alti personaggi esprimevano pareri diversi, a favore o contro la loro validità canonica; si moltiplicavano le proposte per riportare ad unità la Chiesa. Si avevano di fatto due obbedienze, due collegi cardinalizi e due curie. L’università di Parigi aveva dichiarato che, delle due obbedienze, altera era amplior (quella romana), altera sanior (quella avignonese di Benedetto).
Papa Luna in un primo tempo era stato favorevole alla riunificazione per la via cessionis, cioè la rinuncia al pontificato da parte dei due papi; poi propose la via iustitiae, cioè un giudizio di natura giuridica, di fatto inattuale, perché ciascuna parte intendeva che fosse riconosciuto il suo buon diritto. L’atteggiamento di Benedetto fu contradittorio, ma irremovible contro la rinuncia. La perdita dell’appoggio del re di Francia lo costrinse a rifuggiarsi ad Avignone, [p. 146] dove restò praticamente prigioniero, benché trattato con onore, per quattro anni e mezzo.
La morte di Bonifacio IX, papa a Roma (1404), fu un’altra occasione perduta per la riunificazione della Chiesa: gli fu eletto a successore Innocenzo VII, che morì dopo due anni, e a lui successe Gregorio XII il 30 novembre 1406. Furono intanto convocati due concili che non ebbero successo; un terzo, convocato a Pisa, volle giungere ad una soluzione pratica, ed esaminata la posizione dei due papi, li dichiarò decaduti entrambi: nel giugno 1409 elesse un terzo che morì i l’anno successivo ed ebbe per successore Giovanni XXIII (1410). La situazione era ancora più confusa.
Per intervento dell’imperatore Sigismondo di ebbe infine un concilio generales a Costanza, che prese contatto con i tre papi: inviò a Benedetto una commissione per proporre un accordo onorevole: in cambio della rinuncia, gli fu offerta la riammissione nella comunione della Chiesa, il possesso a vita dei beni e dei libri, una pensione annua di 50.000 fiorini e la conservazione dei benefici da parte dei suoi fedeli. Egli rispose con fierezza: Hic est archa Nohe. La stessa frase o un concetto analogo è ripetuta nella datazione delle lettere di due familiari di Benedetto, nel 1421, quando ormai ogni illusione era perduta: Scripta in archa Noe e Scripta in domo Dei, ubi est vera ecclesia.
Nella sessione del Concilio di Costanza del 26 luglio 1417 Benedetto fu dichiarato deposto: era la seconda deposizione. Nel dicembre del 1415 si era trasferito nel castello di Peñiscola, che apparteneva all’Ordine di S. Maria di Montesa, e qui restò in triste esilio con pochi fedeli, senza rinunciare al suo ufficio fino alla morte, avvenuta il 23 maggio 1423. Aveva compiuto 94 anni.
Poco prima della morte aveva nominato quattro cardinali che avrebbero dovuto eleggere il successore: fu infantti nominato e consacrato Egidio Sánchez Muños, che prese il nome di Clemente VIII; uno dei cardinali di Papa Luna, che era stato assente all’elezione, pretese di nominare un altro, che prese il nome di Benedetto XIV, ma non ebbe seguito. Il sedicente Clemente VIII rinunciò poi [p. 147] nel 1429 e fu nominato vesvoco di Mallorca, con la sua rinuncia termina ogni pretesa allo Scisma.
Il castello di Peñiscola, dopo la morte di Papa Luna, era stato teatro di queste ultime cerimonie pontificali. Ora i grandi saloni, la biblioteca e lo studio del papa, ed insieme gli alloggiamenti delle guardie e la scuderia, con la severa nudità delle mura, sono simbolo del vuoto che egli lasciò dietro di sé. Di lui restano solo, nella chiesa parrocchiale del castello, due oggetti preziosi: un calice d’argento finemente cesellato ed una croce processionale in cristallo di rocca e smalti, che portano ambedue lo stemma con la luna e le chiavi pontificie.
Con Pedro de Luna scompare un personaggio che suscita sentimenti contrastanti. Forse non si rese conto, data la sua tenace ostinazione contro la rinuncia, che — almeno dopo la deposizione del Concilio di Costanza — sarebbe passato alla storia come antipapa. E’ però difficile ammettere che il rifiuto all’ultima proposta di accordo, che gli avrebbe permesso — quando ogni altra speranza era perduta — di passare gli ultimi anni della vecchiaia in una posizione onorevole e tranquilla, sia dovuto ad una sfrenata ambizione: non si riesce a capire come in punto di morte contasse di avere un successore. Bisogna supporre una convinzione radicata che risaliva al conclave di Fondi, ad una buona fede che resisteva fino ai limiti dell’irragionevole: più che l’età e l’inevitabile menomazione intellettiva, agì una certa spiegabile deformazione mentale per cui una persona onesta, presa una decisione anche sbagliata, certamente sofferta, convince se stessa della giustezza della scelta.
La salma di Benedetto, com’è noto, fu sepolta a Peñiscola, dove ancora oggi si vede, nel pavimento del grande salone delle udienze, il luogo della tomba; dopo pochi anni, nel 1429, fu trasportata a Illuesa, suo luogo di nascita, a cura di un nipote, e collocata in una modesta cappella. Durante l’occupazione napoleonica, nel 1811, la tomba fue profanata e i miseri resti furono gettati nei torrente sottostante. Si narra che la testa, staccata dal tronco, fu rotolata a terra come una palla da giuoco: oggi è piamente conservata presso una famiglia aragonese.
[p. 148] Se le vicende drammatiche del pontificato di Papa Luna e le sue attività anteriori attestano la sua indole versatile e decisa di uomo d’azione, altri aspetti rivelano doti a prima vista impreviste, come uomo di cultura e abile nella direzione degli uffici curiali, principalmente della Cancelleria e della Camera.
Un contemporaneo lo presenta come acutissimus et doctissimus colligendorumque egregiorum librorum avidissimus: sembra la presentazione di un umanista. Resta infantti l’inventario della biblioteca che lo seguì a Peñiscola, con 1090 codici, un numero insolito per le biblioteche del tempo. Essa comprendeva anche manoscritti provenienti dalla biblioteca papale di Avignone, ma molti erano stati da lui acquisiti, fra cui opere di scrittori classici e di scrittori recenti, quali Dante e Boccaccio. Fu scrittore egli stesso in lingua latina: compose un trattato liturgico e opere di ascesi, e scritti sui concili e sullo scisma. Sono particolarmente significative due opere composte a Peñiscola durante il su ritiro: Liber de consolatione Theologiae e Vitae humanae adversus omnes casus consolationes.
La sua biblioteca è andata in parte dispersa; o codici portati nel Collège de Foix a Tolosa furono ceduti a J. B. Colbert nel 1660 ed ora sono conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi.
Quanto all’archivio della sua Curia, l’Archivio Vaticano ne conserva una parte notevole, recuperato a Peñiscola da un legato papale inviato appositamente da Martino V. E’interessante che i papi abbiano avuto cura di assicurare la conservazione, per quanto possible, degli archivi di altre obbidienze accanto a quelli dell’obbedienza romana.
Di Papa Luna si conservano i registri di bolle in due serie dell’Archivio Vaticano: 72 volumi nella serie detta dei Registri Avignonesi e 12 in quella dei Registri Vaticani. Essi però sono discontinui e rappresentato solo una piccola parte dei registri esistiti a suo tempo: basti osservare che nei Registri Avignonesi 20 volumi appartengono al primo anno del pontificato, 10 agli otto anni seguenti e solo 42 agli ultimi venti anni, fino al 1422. I Registri Vaticani sono ancora più lacunosi, solo 12 per ventotto anni.
Si hanno anche 23 Registri della Suppliche: per avere un’idea [p. 149] delle perdite, si considera che 13 volumi sono del primo anno e 10, molto frammentari, sono degli anni seguenti.
Le perdite risalgono a prima del trasporto dei volumi da Peñiscola, anche se la varietà delle rilegature delle tre serie ci assicura che esse furono portate in Vaticano in tempi diversi.
Dal punto di vista della diplomatica, i volumi della serie Vaticana sono compilati nella Cancelleria con caratteri interni ed esterni che preludono (tranne un volume) al tipo che diverrà costante e distintivo nella serie successiva del Registri Lateranensi, che comincia con Bonifacio IX (1389); sono scritti su carta, ma destinati alla futura conservazione, a differenza dei volumi precedenti dei Registri Vaticani scritti in pergamena, che sono copie dei registri catacei della serie Avignonense non destinati alla conservazione. Essi dunque proseguono l’uso della curia avignonese quanto alla carta, come si riscontra anche neiregistri di Clemente VII. Nell’obbedienza romana, prima di Bonigacio IX, si conosce solo un frammento di registro di Urbano VI, cartaceo e destinato alla conservazione, in un codice Ottoboniano della Biblioteca Vaticana.
Oltre questo carattere innovativo, i registri di Benedetto presentano una particolarità rilevante: contengono spesso annotazioni sulla expeditio della bolle, con i nomi e le qualifiche delle persone che agivano nelle varie fasi della preparazione, così da rendere possible una conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento degli uffici più precisa che per altri pontificati.
Anche i Registri delle Supplische hanno una carattere particolare: dominano le cosiddette gratiae rotulares. I rotoli di suppliche, sorti per agevolare la concessione di benefici a molti postulanti insieme, erano già in uso come privilegio di cardinali e vescovi in determinate circostanze, per premiare con benefici ecclesiastici i servizi resi da chierici del loro seguito, e delle università come vere borse di studio; ma nei registri di Benedetto divengono una regola, che fa supporre non solo lo scopo di procurare o premiare sostenitori della propria obbedienza, ma anche e soprattutto la necessità di procurare denaro per il necessario sostentamento della Curia attraverso [p. 150] la riscossione delle tasse connesse con la spedizione delle bolle relative alla concessione dei benefici.
Si hanno pure nell’Archivio Vaticano pochi volumi della Camera di Benedetto nei fondi delle Collectoriae e delle Obligationes et Solutiones; e frammenti di libri di conti sono inseriti, fuori posto, nei Registri Avignonesi.
Sorprende invece, perché non ci aspetteremmo di trovarle que, la presenza di molte bolle originali, complete in ogni loro parte e nella maggior parte munite del piombo, che dovrebbero essere state consegnate ai rispettivi destinatari e dovrebbero perciò trovarsi nei loro archivi. Non si conosce il motivo della loro presenza in Vaticano. Se ne ha un gruppo di 219 originali che vanno dal 1394 al 1417, cuciti in modo da formare due grossi volumi. Altri originali sono sporadicamente in altri fondi, nell’Archivio di Castell S. Angelo e fra gli Instrumenta Miscellanea: Fra essi è da segnalare la bolla In coena Domini dell’8 aprile 1417, pochi giorni prima che il Concilio di Costanza pronunciasse la condanna definitiva: è l’ultima affermazione pubblica di potere, solenne e formale, in cui Benedetto ripete la condanna contro coloro che si erano opposti nientemeno che al riconoscimento di Clemente VII, di cui egli era il successore, ed inoltre contro Pietro Filargo (Alessandro V, già morto nel 1410), Angelo Correr (Gregorio XII), Baldassarre Cossa (Giovanni XXIII), e i loro fautori, citando nominalmente i cardinali che li avevano eletti.
Altra preziosa documentazione è contenuta in 25 volumi di scritti sullo scisma intitolati appunto Libri de Schismate, raccolti per la maggior parte dal card. Martin de Zalba, sostenitore e consigliere di Papa Luna, morto nel 1403.
Questo ingente materiale documentario è stato oggetto di molte ricerche e di studi approfonditi per quato riguarda le complesse vicende dello Scisma, i pareri e i comportamenti di singoli personaggi: è una documentazione che investe la vita religiosa, culturale e politica di un mondo in fermento, di ecclesiastici e laici, principi, comuni e famiglie: ciascuno agiva secondo una idealità propria.
[p. 151] Ma vorrei chiudere questo breve ricordo con un’osservazione ed un voto che riguardano da vicino i nostri interessi di studio: che si esamini più attentamente l’attività della Curia di Papa Luna nei suoi diversi aspetti, si mettano in evidenza i mutamenti instituzionali avvenuti nei suoi uffici, la presenza e la collaborazione di persone di cultura e di persone che provenivano da altra obbedienza o passavano ad altra, la loro successiva carriera ecclesiastica, il riflesso di tali mutamenti nei documenti. Per esempio, i primi brevi originali rimasti sono di Bonifacio IX, ma già un registro di Benedetto s’intitola Brevia.
Inoltre si dovrebbe accertare se le numerose concessioni di benefici riportate nelle belle e nelle suppliche banno avuto attuazione, sia per avere un quadro reale dei luoghi e delle diocesi in cui l’autorità di Benedetto era o pretendeva di essere riconosciuta, alle date rispettive, sia per calcolare quanto denaro sia effettivamente entrato nella Camera di lui e l’effettiva disponibilità finanziaria della Curia nella sua lunga vicenda.
Mi auguro insomma che aquesta visita a Peñiscola incoraggi a nuove ricerche.