[p. 1273] Il notariato nella Sardegna pre-aragonese
In un saggio dedicato al notariato in Sardegna, Pio Canepa sosteneva che l’istituto fece la sua comparsa nell’isola solo a partire dall’XI secolo, in seguito alla penetrazione pisana e genovese1.
In linea di massima lo studioso ha ragione, se consideriamo che la Sardegna é priva di documentazione per il periodo anteriore al Mille e che le coeve fonti storiche alto-medievali tacciono su vicende e istituzioni sarde, a parte le scarse e frammentarie notizie di contatti politici con el Sacro Romano Impero2.
Le stesse origine e genesi dei quattro giudicati autonomi presentano a tutt’oggi aspetti oscuri e problematici, nonostante i contributi della recente storiografia, che peraltro ha più volte evidenziato un’evoluzione [p. 1274] delle strutture politiche e giuridiche sarde per certi aspetti originale, rispetto a quella avvenuta nel resto del territorio appartenuto all’ex Impero Romano3.
Non crediamo si possa dubitare che il diritto dell’Impero sia stato introdotto nell’isola, come in tutte le altre provincie, ma probabilmente a partire dal VI secolo, mancando a poco a poco la influenza dei dominatori, a causa delle vicende nel Mediterraneo, il vecchio fondo giuridico romano non si radicò profondamente4. La conquista vandalica (455-533) significò per la Sardegna, a livello curiale e di scrittorii documentari, l’interruzione della tradizione redazionale romano-latina e quando Bisanzio subentrò ai Vandali, dopo la battaglia di Tricamari, trovò la situazione più favorevole per impiantare ex-novo i propri istituti operativi5. E accanto a istituzioni giuridiche che rientravano nella sfera del diritto pubblico bizantino, quali le cancellerie del praeses e del dux6, crediamo siano stati introdotti anche [p. 1275] gli uffici tabellionali incaricati di redigere negozi giuridici tra privati7.
Il ruolo e l’indiscutibile importanza dei tabellioni erano stati del resto già ampiamente riconosciuti da Giustiniano che però non aveva concesso loro la «publica fides»8. Pio Canepa, tenendo in considerazione tutta la problematica relativa alla formazione dei giudicati autonomi e i caratteri specifici della loro statualità, aveva concluso che il tabellionato bizantino, chiara derivazione di quello romano, non aveva trovato in Sardegna terreno fertile alla sua evoluzione9. Peraltro, le rare ma abbastanza chiare testimonianze del secolo XI, nelle quali l’isola appare già perfettamente divisa e organizzata in quattro regni autonomi, evidenziano già un dualismo tra diritto pubblico e privato, tipico della sfera giuridica bizantina ed estraneo invece all’occidente feudale10. L’analisi delle testimonianze dirette dell’XI secolo, le prime dopo il vuoto documentario dei secoli precedenti, evidenzia sistemi redazionali fedeli a quelli originari, perchè non ancora alterati dalla presenza pisana e genovese; permette, inoltre, di raccogliere notizie utili alla storia del notariato sardo anteriore al Mille e che comunque non può essere visto, per il periodo di autonomia giudicale, al di fuori delle principali espressioni di governo; le cancellerie statali, prive ancora di quella fisionomia complessa che ritroveremo in periodo catalano-aragonese.
La redazione documentaria era affidata a scrivani religiosi, in genere semplici abati, ma anche vescovi nei casi più importanti, che [p. 1276] hanno ereditato compiti del cancellarius e degli scholiastici della cancelleria dell’ipatos; non si tratta però di funzionari colti e qualificati comme quelli, ma amanuensi di scarsa cultura e il cui unico compito era quello di scrivere materialmente i documenti11.
Solo gli atti emanati dal Giudice erano provvisti di fede pubblica, in quanto successore legitimo dei più alti magistrati della Curia bizantina nell’isola12. Tutti gli altri atti, per avere valore probatorio dovevano essere confermati in giudizio e alla presenza di testimoni13.
Sappiamo però che nell’isola operava, investito di importanti prerogative, il «logusalbadore» della città: sostituiva e assisteva il giudice nell’espletamento di funzioni pubbliche e come il suo predecessore bizantino, il lociservator o topoteretos, aveva la facoltà di autenticare atti privati14. La presenza del «logusalbadore» é pressoché costante nella redazione documentaria giudicale del secolo XI: lo troviamo in particolare nel giudicato di Cagliari, come «Curator Campitani», che munisce della propia sanzione atti pubblici e privati15. Nessun elemento può farci ritenere con certezza che egli esercitasse una vera e propria funzione di estensore autonomo di atti, perché é sempre e solo il giudice che autentica i documenti, assistito da un’équipe di persone denominate, nelle sottoscrizioni, «testimonii de logu»16.
Le sottoscrizioni degli scrivani che si appellano in vario modo, come scriba, sacerdos, notarius, monacus, contengono sempre la dichiarazione che l’incarico proveniva direttamente dal giudice e ricordano l’antica completio dei tabellioni romani e bizantini, per cui si può credere che tali scrivani si siano visti riconoscere un carattere pubblico dall’autorità costituita17.
[p. 1277] Tre dei primi atti del secolo XI, pubblicati da P. Tola, emanati da giudici cagliaritani nel 1002, 1019, 1021, contengono la sottoscrizione di un notaio: quella del documento del 1002 recita: «Ego Nicolaus Johannis imperiali auctoritate notarius… interfui… publice scripsi et affirmavi»; quella del 1019: «Ego Mariano judice et imperatoris notarius»; quella del 1021: «Ego Rubertus judex imperiali notario… firmavi et dedi»18. Sfortunatamente tutte e tre le sottoscrizioni sono false, come altri elementi diplomatistici dei rispettivi documenti, non molto abilmente «ricostruiti» dagli scribi del monastero di Montecristo a partire dalla seconda metà del XIII secolo, per confermare i titoli di proprietà del monastero, andati perduti durante i numerosi assalti dei pirati. Gli scribi conoscevano solo i sistema redazionali e i formulari del loro tempo, spesso incompatibili con le date più antiche assegnate ai documenti che contengono spesso grossolani anacronismi19.
Gli atti del 1019 e 1021, contenenti donazioni dei giudici sardi alla chiesa di S. Mamiliano, nell’isola di Montecristo, e S. Maria di Canovaria, dipendente da S. Mamiliano, non possono essere, come é stato osservato, anteriori al XIII secolo, perché figurano due marchesi di Corsica e giudici di Cagliari, Guglielmo e Ugo20.
La sottoscrizione del notaio del documento del 1002 é anacronistica dal momento che i notai «imperiali auctoritate» operarono a partire dalla seconda metà del XIII secolo21.
Nonostante si debbano giustamente ignorare tali documenti per la ricostruzione di un notariato in Sardegna, é certo che già nell’XI secolo, nel giudicato di Cagliari operavano i notai di provenienza incerta: in una carta pergamenacea del 1089, lo scrivano, oltre a definirsi [p. 1278] «notarius domini regis», dichiara di rogare «ac iussione domini Costantini regis et iudicis»22.
Risulta evidente che ancora nella seconda metà del secolo XI, i giudici non avevano a disposizione una cancelleria vera e propria, organizzata e autosufficiente e per la stesura di atti ufficiali di un certo rilievo, dovevano rivolgersi a scrivani-notai che non ricoprivano un incarico fisso nella sede giudicale. Solo a partire dal XIII secolo sarabbe sorta nell giudicato d’Arborea una cancelleria stabile e con valore certificante23.
Nel primo quarto del secolo XII gli scrivani, specie nei giudicati di Cagliari, Torres e Gallura, sono ancora quasi esclusivamente dei religiosi che si appellano episcopus, archiepiscopus, monachus, presbyter, incaricati dal giudice della stesura degli atti di cancelleria. La loro provenienza é più evidente: forestieri o anche sardi che hanno compiuto la loro preparazione fuori dell’isola. L’affermarsi definitivo nell’isola delle repubbliche di Pisa e Genova non solo come potenza economica e commerciale, ma anche politica e militare24, fece sì che fin dalla metà del XII secolo, la produzione documentaria giudicale ricalchi quasi esclusivamente modelli continentali, ad opera di scrivani e notai liguri e toscani. Questi notai che ora rogavano per conto dei giudici, scrivevano in latino medievale, con formulari e forme scrittorie della loro terra d’origine: modi redazionali genovesi nel Nord della isola, modi pisani nel Sud. Cambia sopratutto la funzione diplomatistica del giudice che prima, mancando i notai, garantiva personalmente la fede pubblica degli atti25.
Nel 1131 a redigere una carta di Comita II de Lacon-Serra, giudice d’Arborea, troviamo un notaio genovese famoso: Bonus Johannis26. Alla massiccia presenza di notai continentali, fa riscontro la [p. 1279] penuria di scrivani indigeni qualificati: nel 1182, Pietro I de Lacon-Serra, giudice d’Arborea, chiedeva al Monastero di Montecassino l’invio di «monachos litteratos»27. Ma é sempre con il medesimo giudice arborense che incontriamo per la prima volta un cancelliere, in un atto del 1189: «…Petrus Paganus Kancellarius domini Petri regis et iudicis Arboree…»28.
La nomina del cancelliere, che in precedenti atti si era sottoscritto come semplice scrivano del giudice, sarebbe da inquadrarsi in un processo di rinnovamento e di ristrutturazione della primitiva cancelleria arborense, voluta dalla situazione politica dell’isola conseguente alla presenza pisana e genovese, nonché dalla volontà di sottolineare una piena e completa autonomia statale del giudicato29. Nell 1228 l’attestazione di un notaio, probabilmente sardo, nella curia d’Arborea, che si dichiara «notarius pubblicus in toto judicatus Arboren», testimonierebbe la presenza stabile dell’istituto notarile e la facoltà di nomina da parte del giudice nell’ambito giudicale30.
Anche negli altri tre giudicati sardi, fin dalla prima metà del XII secolo, troviamo il notaio di provenienza continentale, ma solo saltuariamente, mentre continuano ad esercitare semplici ed incolti scrivani religiosi31. Situazione ben diversa nei Comuni italiani, dove il notaio, già nel primo decennio del XIII secolo é il perno dell’amministrazione cittadina e fin dal 1150, per esempio a Genova, esistevano quelli addetti alla raccolta sistematica degli Atti dei Consoli e del Consiglio32.
In conclusione, da tutta la documentazione sarda esistente fin dal secolo XI, emerge che il notariato é un istituto importato per colmare le lacune formali e procedurali degli scrivani religiosi locali e poi sostituirli via via. Ciò é indiscutibile. Pur tuttavia crediamo non si sia trattato di una importazione accettata passivamente dalle autorità [p. 1280] giudicali che si preocuparono abbastanza tempestivamente di assicurare la continuità dell’istituto e della preparazione professionale di personale isolano. Non sono attestate in Sardegna scuole di notariato, ma gli Statuti isolani, in particolare quelli di Sassari, di Villa di Chiesa e la Carta de Logu, testimoniano che l’istituto già nel XIII secolo si era affermato pienamente tanto da esigere una regolamentazione legislativa33.
A nostro avviso, quindi, l’attività e l’influenza di notai e scrivani continentali, perché più colti e preparati, contribuirono sostanzialmente ad accelerare l’evoluzione di un istituto primitivo ma già presente nell’isola. Dopo che tra il 1257 e il 1296 si estinguono i giudicati di Cagliari, Torres e Gallura, l’unico stato indigeno ancora vivo e forte per difendere la propria autonomia di fronte alla conquista aragonese, sarà l’Arborea ed é proprio nell’Arborea, quando prenderanno il via le guerre con il Regnum Sardiniae et Corsicae, che si fa più chiara e netta la distinzione tra i due enti statali e quella tra i notai giudicali «imperiali auctoritate» e i notai aragonesi «regia auctoritate». Tale distinzione ribadisce senza dubbio, da parte arborense, il diritto all’autonomia instituzionale nei confronti di quella catalana e «…ridimensiona quelle fonti che tolgono al giudice di Oristano la facoltà di nomina»34. L’accordo feudale del 20 Settembre 1323 tra Ugone II de Bas-Serra e Giacomo II d’Aragona non vincolava il popolo arborense dal momento che il documento scritto é privo di autenticazione statale35. La pace del 1388 fu firmata dai due statinazione solo dopo che la Corona de Logu, formata dai rappresentanti popolari, ne approvò la proposta. Per quella circostanza Eleonora d’Arborea aveva inviato in ogni capoluogo di curatoria i notai «imperiali auctoritate» per raccogliere le nomine dei componenti la [p. 1281] Corona; analogamente il sovrano aragonese fece raccogliere la adesioni della «università» di Cagliari e Alghero, dai notai «regia auctoritate»36.