[p. 1139] Prime indagini sull’evoluzione del formulario notarile
nel contratto marittimo veneziano
(sec. XI-XII)
Del documento privato si desidera proporre un esame che riguarda il suo contenuto e pertanto in questa sede viene presentato il risultato di un’indagine svolta sul tenor formularis dei contratti marittimi veneziani, econdotta con particolare attenzione all’evoluzione delle formule notarili presenti nella dispositio.
Tale analisi é oggetto del tema monografico del secondo corso della Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica annessa all’Archivio di Stato di Venezia.
I documenti finora analizzati, oltre seimila, per lo più trascritti nel Codice Diplomatico redatto da Luigi Lanfranchi, e quelli commerciali editi da Morozzo e Lombardo1, riguardano i secoli XI-XII poiché lo studio comparativo del formulario notarile di questo periodo é parso più interessante rispetto a quello di atti più tardi, non essendo in tali anni ancora codificata negli statuti la normativa di questa materia e non essendovi capitolari di magistrature o notai nei staccare quali venga fissata la regolamentazione delle varie tipologie [p. 1140] contrattuali2. Può così, nei suddetti secoli, esser meglio colto il rigore delle formule da utilizzare con più efficacia per accertare l’autenticità degli atti che documentano questa fase più varia e più vitale della realtà consuetudinaria dell’attività marittima veneziana. Con l’umiltà che dovrebbe essere propria dell’archivista, attraverso l’ascolto diretto del documento ed il suo esame diplomatico intrinseco, si coglie il fissarsi, il ripetersi, od il sommarsi di queste formule dalle quali emergono tipologie contrattuali spesso ben definite, quali il nolo il mutuo, il prestito a cambio marittimo e la colleganza.
Per meglio approfondire però, in una costante continuità di sviluppo, la progressiva trasformazione da un tipo di pattuizione ad un altro, bisognerebbe poter attuare un raffronto diplomatico anche con tutti quei formulari che esprimono clausole secondarie ed accessorie, e che, ad eccezione di quelle più eloquenti, in questa prima fase d’indagine sono state trascurate a favore di quelle che documentano il contenuto essenziale della volontà del negozio. In questa sede non interessa entrare in campi più strettamente legati alla storia del diritto o al diritto commerciale e marittimo, ma, affinché si possa attuare un’analisi più completa e precisa in tal senso, che tenga cioé conto veramente di tutte le espressioni notarili importanti per conoscere la sostanza e l’autenticità del documento, si guarda con speranza alla possibilità che essa venga programmata al più presto attraverso l’elaborazione automatica dell’informazione di questi dati.
Per poter meglio studiare i documenti analizzati, per ogni tipologia é stato scelto un numero ristretto i cui formulari presentano caratteristiche comuni a quelle di altri e la cui peculiarità mette bene in luce la sostanza di quella volontà contrattuale, che, evolvendosi, può spesso confluire in tipologie successive nel tempo e tecnicamente più perfette nell’utilizzo delle formule. Tale volontà infatti, rappresentando una realtà in progressiva trasformazione anche per l’apporto o per l’influenza di usi di altre sfere giuridiche, comprende via via sempre più elementi nel medesimo atto.
[p. 1141] Rispetto a fattispecie negoziali successive, il nolo ad esempio viene fissato con un formulario molto più semplice, e gli atti che lo documentano finora trovati non vanno oltre la prima metà del secolo XII. Essi riguardano quasi esclusivamente noli di ancore, beni d’investimento usuale in questo periodo della navigazione, quando i mercanti possono «habere ad nabulum» anche una sola «sors» di ancora «cum aliis compagnonibus»: per raggiungere quindi dei profitti già viene utilizzato il vincolo sociale ma, a differenza di quello che verrà poi esaltato nella colleganza, qui ciascuno é titolare di un proprio rapporto e commercia solo nel proprio personale, distinto, interesse. Spesso deve essere restituita «predictam anchoram», ma altre volte, quando già il taxegium ed il nauclerius saranno determinati, viene fissato il valore dell’ancora, ed in caso d’infortunio può essere restituito il tantundem (accostandosi così, per quest’ultimo elemento, ai prestiti coevi).
Più raramente invece, tra i documenti veneziani, si trovano noli di navi o di parte di esse, e l’esemplare scelto per questa analisi testimonia anche l’evoluzione della formula peculiare della «dispositio» che da «tibi ad nabulum dare» diventa «naulizare»; mentre in una «recordacione» del medesimo periodo, fatta però dagli stessi autori, senza ricorso a notaio, la formula diventa «pagare lo naulo».
Il mutuo invece, forse proprio per le sue antiche origini legate non solo al diritto marittimo, presenta un formulario già definito, dove tutti i caratteri intrinseci del documento vengono espressi in maniera costante e precisa; eventuali piccole varianti manifestano infatti soltanto alcune specificazioni della volontà dichiarata e comunque, ancora una volta, rispecchiano l’evolversi del commercio e del diritto commerciale. I tre elementi costitutivi di questo negozio (oggetto, termine, interesse) vengono introdotti dalla formula della «dispositio»: «Manifestus sum quia recepi libras denariorum quas michi dedisti et prestitisti in meis necessitatibus (od utilitatibus) peragendis». Essa é la più semplice, la più usata e subisce mutamenti soltanto in anni successivi, quando il prestito verrà chiesto non più per «meis utilitatibus» soltanto, ma per «meis maximis utilitatibus et necessitatibus» od ancora, quando il viaggio per il quale si é attuata la contrattazione [p. 1142] verrà sempre più dettagliatamente descritto, con specificazione anche qui del taxegium e del nauclerius, il formulario dispositivo si evolve in «dare ad portandum» o «ire et negotiari», e si avvicinerà cosí sempre più a quello del prestito a cambio marittimo.
L’oggetto del mutuo, del semplice prestito cioé, normalmente risulta essere denaro, più raramente merce, ma sempre un bene fungibile e deve essere restituito entro un termine, variamente stabilito, con l’aggiunta dell’interesse, «deliberare te debeam tuo precio cum suo prode», il quale «secundum usum patriae nostrae» é del «quinque sex per annum» (ossia del 20%); può essere pattuito anche un interesse di misura diversa od ancora esso può invece scattare soltanto in caso di mancata restituzione, entro la data fissata. Mentre più raramente, in prestiti «causa amoris», dove però il tenor formularis rimane sempre quello tipico, non si richiede alcuna aggiunta né alcuna garanzia, «pro maiori firmitate».
Nel prestito a cambio marittimo invece, il formulario non ci aiuta a distinguerne chiaramente la tipologia, perché questa, come si é già visto, potrà spesso sovrapporsi o mescolarsi con quella del mutuo. Sarà invece la diversità del suo formulario in cui viene sempre specificato il rischio, qui tutto a carico del capitalista, a caratterizzare la figura contrattuale. Colui che investe in un’impresa marittima i propri beni vuole pertanto prevederne la destinazione nei dettagli, e descrive il viaggio in ogni particolare, legandolo ad una data nave, ma soprattutto, fa appello alla diligenza del buon padre di famiglia del tractator attraverso espressioni quali «hoc totum habere debet esse in tali periculo sicut erat totum alium habere quod ibat cum illa navi» o «in tali periculo quale erit ipsa navis cum toto suo habere».
«Recepi», «recepi ad portandum» o «quia portare debeam» e, più tardi, come accade per altre tipologie, «recepi quod portare debeo ad negociandum» sono invece le usuali formule, variate rispetto a quelle del mutuo, di queste dispositiones del prestito a cambio marittimo in cui, come corrispettivo del denaro prestato, si riceve denaro di altra valuta, sovente calcolato anche secondo la valutazione di altra piazza «secundum consuetudinem illius terrae»; ma, più spesso, si restituisce la merce scambiata.
[p. 1143] La trasformazione dei formulari, cui é legata la continuità di sviluppo giuridico, e che si é cercato di mettere in luce, porta quasi naturalmente a quelli che documentano il contratto di colleganza, dove anche il tractator partecipa alla costituzione del capitale.
Non si ritiene importante approfondire ciò che noti studiosi hanno già analizzato, parlare ad esempio di colleganza unilaterale o bilaterale, dire se si tratti di rogadia o commenda, distinguere colleganza veneziana da quella di altre sfere od ancora precisare la misura legale della ripartizione degli utili, poiché le singole clausole vengono modificate dalle volontà delle parti e fissate negli statuti soltanto successivamente3.
Qui lo scopo é invece quello di cogliere le formule, espressione della volontà dei contraenti che vivono una realtà in cui lo spirito e la necessità di cooperazione e di associazione si fa sempre più pressante, dove é facile notare, senza che nulla sia tolto alla chiarezza, come anche la terminologia, sotto l’aspetto della lingua, divenga sempre più raffinata e completa nella sua essenza giuridica.
Viene pertanto rappresentata un’attività comunque associata, in cui può essere unito capitale o capitale e lavoro «ego accepi et tu iactasti», ed il bene comune deve essere difeso dai rischi e dare, soprattutto, profitto «hoc totum laborare et procertare promitto in quo melius potuero». Lo stesso concetto verrà meglio formulato con le espressioni «ire debeo ad negociandum», «portare debeo ad negociandum et procertandum», «negotiari et procertare debeo», dove il ripetersi del concetto di negozio più chiaramente dimostra lo sviluppo dell’attività e del traffico mercantile, in cui diventa sempre più utile una generale pacifica trattativa anche a livello internazionale.
Infine, la spartizione degli utili e di eventuali rischi é sempre specificata con il fissarsi della seguente formula: «inter nos dividere debeamus sine fraude et malo ingenio… et aliquid aquirere potuero in istam colleganciam iactare debeam», cui può aggiungersi «et si istud habere perditum fuerit… nichil inde pars inquirere debeamus».
[p. 1144] Bibliografia
Per la colleganza veneziana vedansi gli studi, e la bibliografia in essi contenuta, dei seguenti autori:
Arcangeli, La Commenda a Venezia specialmente nel secolo XIV, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 1902, pag. 107 e segg.
Astuti, Origini e svolgimento storico della Commenda fino al secolo XIII, Milano 1933.
Astuti, Note sulla Colleganza veneta in Rivista di diritto della navigazione, 1941, p. 71 e segg.
Cessi, Note per la storia delle società di commercio nel medioevo in Italia, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 1917, p. 17 e segg.
Lombardo, Note sul diritto commerciale veneziano nei sec. X-XIII, Venezia 1940.
Morozzo Della Rocca, Note sulla rogadia a Venezia, in Studi veneziani, 1970, pag. 145 e segg.
Sacerdoti, Le colleganze nella pratica degli albori e nella legislazione veneta in Atti del reale istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1899-1900, p. 1 e segg.
Sayous, Le rôle du capital dans la vie locale et le commerce extérieur de Venise entre 1050 et 1150, in Revue belge de philologie et d’histoire, 1934 pag. 657 e segg.