École des chartes » ELEC » Notariado público y documento privado: de los orígenes al siglo XIV » L’atto notarile nelle registrazioni pubbliche bolognesi nel secolo XIII
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[p. 1091] L’atto notarile nelle registrazioni pubbliche bolognesi nel secolo XIII

Parlare dell’atto notarile nelle registrazioni pubbliche di una città come Bologna nel corso del secolo XIII significa esaminare un aspetto del rapporto notariato — comune: un rapporto complesso e di estrema importanza per le vicende di ambedue questi istituti nelle città reggentesi ad ordinamento autonomo nel secolo XIII; ma tanto più importante, se è lecito introdurre una gradazione, quanto più intenso fu nelle varie città il contributo del ceto notarile allo sviluppo e al consolidamento delle strutture comunali. Scegliere Bologna per parlare di questo rapporto, anche se limitatamente all’angolazione atto notarile — documentazione pubblica, presenta quindi una motivazione che è al tempo stesso un limite di tale esame. Perché Bologna fu una delle città, se non addirittura la città nella quale il rapporto notaicomune fu più strettamente e fittamente intrecciato. E’stato detto che «la vicenda bolognese della seconda metà del secolo XIII si riassume nel tentativo di fondazione di una repubblica di notai»1: una frase che rende in modo indubbiamente provocatorio, ma con sicura efficacia l’importanza del ceto notarile nella storia di Bologna. Così, e per [p. 1092] quanto concerne il tema di questa comunicazione, non fu certo frutto di una evoluzione casuale la circostanza che, proprio in Bologna, il rapporto atto notarile-documentazione pubblica sia pervenuto nel corso del secolo XIII ad una soluzione particolare e praticamente nuova nel panorama italiano. Ma al tempo stesso credo sia stato proprio l’intensità del rapporto notai-comune bolognese a far sí che tale soluzione sia rimasta a lungo senza apprezzabili imitazioni.

La particolare soluzione, cui ho accennato, fu la istituzione dell’ufficio dei Memoriali. Essa è contenuta in un capitolo degli ordinamenti emanati il 26 aprile 1265 dai frati gaudenti Loderingo di Andalò e Catalano di Guido d’Ostia, ai quali la città di Bologna si era affidata nell’intento di porre un freno ai contrasti interni che minacciavano di paralizzare ogni azione di governo. Gli ordinamenti costituivano una legislazione di carattere eccezionale, una risposta a situazioni di particolare gravità. Nel caso specifico l’insieme di questi ordinamenti fa intravedere un quadro di forti tensioni legate alla conquista da parte del popolo del predominio nella organizzazione comunale. A queste tensioni gli ordinamenti oppongono una serie di misure atte a prevenire le cause dei più evidenti contrasti, a togliere alimento alle più ricorrenti occasioni di scontro. Il capitolo XLIII di tali ordinamenti, quello che crea l’ufficio dei Memoriali, riveste, tipicamente, valore emblematico di questa legislazione2.

Stabiliva questo capitolo che tutti i contratti, le confessioni extragiudiziali, i patti e le convenzioni aventi un oggetto di valore superiore a 20 lire di bolognini, rogati nelle città e borghi circostanti, dovevano essere riportati per estratto, nello stesso giorno in cui erano stati rogati o in quello successivo, in appositi registri, detti «Memoriali», affidati a quattro notai a ciò deputati. L’obbligo era esteso agli atti di ultima volontà. Ne erano invece esentati gli atti scritti dei notai in quanto ufficiali della amministrazione cittadina, le denunce ed alcuni contratti di locazione. Un successivo capitolo, il XLVI, estendeva l’obbligo della registrazione alle emancipazioni. In questo caso [p. 1093] peraltro la registrazione era il momento conclusivo di una serie di adempimenti, tendenti ad assicurare la più ampia pubblicità ad un atto che attribuiva anzitempo ad un soggetto la piena capacità di agire.

I capitoli ebbero immediata attuazione. Fin dai primi giorni del maggio 1265 nei registri dei notai addetti all’ufficio iniziarono gli inserimenti degli elementi essenziali degli atti notarili rogati in Bologna3. Quali elementi essenziali vennero intesi, secondo la lettera degli ordinamenti, per gli atti inter vivos, tutte le publicationes (data, luogo, nomi del notaio o dei testimoni) mentre il negocii tenor era ridotto allo stretto indispensabile (nomi delle parti, somma mutuata, bene venduto ed il suo valore ecc.). Per le disposizioni di ultima volontà oltre al nome del notaio e dei testimoni, al luogo e alla data, veniva registrato semplicemente «T. suum condidit testamentum», senza ulteriori specificazioni, neppure quelle concernenti il nome dell’erede. Si fissava in questo modo la precisa testimonianza di un avvenimento giuridicamente rilevante. Al tempo stesso restava pur sempre affidato alla documentazione notarile (imbreviatura e instrumentum) il concreto articolarsi di tale avvenimento: non solo il nome dell’erede e dei vari legatari nei testamenti, ma anche le numerose ed importanti clausole degli atti inter vivos. Sui motivi di questa forma di registrazione tornerò fra breve. Ora mi premeva chiarire che essa è fondamentalmente altra cosa rispetto ai vari tipi di documentazione notarile e che la ripetitività dei moduli di registrazione non indica necessariamente una uniformità degli atti relativi.

Circa l’attivazione dell’ufficio dei Memoriali, Pietro Torelli, pur riconoscendo a Loderingo e Catalano la paternità degli ordinamenti che ne avevano fissato tempi e modalità di azione, sottolineava che l’istituto dei Memoriali non doveva essere visto come una creazione improvvisa, una sorta di lampo di genio, quanto piuttosto come momento di un lungo processo storico4. L’affermazione è tuttora e pienamente valida. Già all’inizio ho infatti avvertito che l’istituto dei [p. 1094] Memoriali va inquadrato nel più ampio contesto dei rapporti notaicomune, quale soluzione con strumenti «pubblici» dei problemi connessi alla efficacia degli atti notarili. Sulla base della notazione di Pietro Torelli e, più in generale, sulla base degli stessi risultati dei suoi studi di diplomatica comunale, posso anche aggiungere che questo istituto si colloca in un preciso momento dell’evoluzione della documentazione comunale.

Nel momento iniziale il comune, associazione volontaria, cura la raccolta dei documenti validi a comprovare l’esistenza e l’ampiezza dei propri diritti. Allorché l’associazione si trasforma di volontaria in coattiva alla raccolta dei documenti si affianca e, progressivamente, si sostituisce la compilazione degli statuti e dei libri iurium. Brevi dei rettori, consuetudini e delibere degli organi collegiali, da un lato; diplomi imperiali, bolle pontificie, accordi con altri comuni, fino a veri e propri contratti, stipulati su un piede di parità con i privati, dall’altro, costituiscono il contenuto tipico di questi due testi. Essi sono la testimonianza di quel processo alluvionale attraverso il quale il comune acquisisce via via i propri diritti politici, fiscali, patrimoniali. L’esercizio concreto di tali diritti moltiplica nel frattempo la documentazione prodotta dal comune. Prende così vita l’ampia gamma documentaria dei rapporti che legano al comune i cittadini: soggetti d’imposta e di oneri militari; elettori di ufficiali e membri di consigli; soggetti di giurisdizione penale e ausiliari di attività amministrative. In uno stadio successivo il comune trasferisce alla collettività la tutela di interessi ancora e fondamentalmente privati, assumendosi il compito di organizzare e conservare la documentazione concernente i rapporti tra i cittadini. Ed è in questo contesto che prendono vita gli strumenti per garantire la «memoria» dell’esercizio della giurisdizione civile e delle contrattazioni tra i singoli.

La scansione di queste fasi fu fenomeno pressoché generale ed oltre a Bologna, altre città si preoccuparono di salvaguardare le testimonianze degli atti notarili in esse rogati. Ma generalmente la strada prescelta fu quella di conservare i protocolli di imbreviature dei vari notai, spesso coinvolgendo in questa opera le singole corporazioni notarili. Così agì il comune di Genova fino, sembra, dal secolo XII, e [p. 1095] così agirono, seppure più tardi, Firenze, Siena e Venezia5. In Bologna la scelta cadde invece su di uno strumento diverso, che prescindeva dai registri di imbreviature e dalla stessa società dei notai, che si traduceva in un impegno, direttamente assunto dal pubblico, anche in rapporto ad una cernita degli atti che si reputavano meritevoli di tutela. In un contesto evolutivo di ben ampia diffusione l’istituto dei Memoriali si pose pertanto quale scelta particolare.

L’affermazione di Pietro Torelli potrebbe tuttavia essere anche riferita ad un aspetto strettamente diplomatico dell’istituto dei Memoriali. Potrebbe intendersi cioè che i documenti prodotti da questo istituto non furono una «creazione» dell’ufficio attivato nel 1265, ma un adattamento di esperienze documentarie precedenti. Sotto questa prospettiva l’affermazione conserva ancora una base reale, ma la sua completa verifica porta a conclusioni non del tutto coincidenti con le precedenti. L’esame dei documenti prodotti a partire dal 1265 dall’ufficio dei Memoriali ne rivela infatti più gli aspetti di innovazione che quelli di continuità di un processo.

In particolare, il precedente su cui tali documenti sembra si siano modellati è quello dei registri di eguale nome dell’ufficio dei Procuratori del comune. In questi Memoriali — che fanno ora parte della serie dei libri contractuum — i singoli atti notarili, attestanti i rapporti di privati con l’azienda-comune (locazioni di dazi, affitti di beni comunali, mutui contratti dal comune ecc.) erano registrati in forme estremamente abbreviate: nomi delle parti, obligazione dedotta, termini di decorrenza. A differenza dei libri iurium ed anche di altri libri contractuum, queste particolari unità documentarie erano preordinate a salvaguardare non gli instrumenta, ma le loro tracce, la «memoria» del loro contenuto6.

[p. 1096] Se questa finalità richiama quindi molto da vicino quella assegnata ai registri prodotti dall’ufficio dei Memoriali dal 1265, il sistema di registrazione dei singoli atti notarili in quest’ultimi si rivela molto più perfezionato e capace di fornire tutti — non solo, in parte — gli elementi in grado di garantire una precisa «memoria» di tali atti. Altri aspetti di notevole distinzione degli ultimi Memoriali si rivelano dal raffronto dei caratteri intrinseci.

Significativo è in particolare l’insieme delle coincidenze e delle varianti riscontrabili nelle formule d’intitolazione. La presenza pressoché costante dell’invocazione, la denominazione del registro («Memoriale»), il riferimento al podestà quale suprema autorità del comune ed al suo periodo di carica, come elemento della datazione sono propri di ambedue i Memoriali e richiamano la formula di intitolazione suggerita da Rolandino per i registri di una amministrazione comunale7. Il che vale ad attestare, ancora una volta, se fosse necessario, la qualificazione pubblica dei Memoriali prodotti dall’ufficio creato nel 1265. Tuttavia le intitolazioni degli ultimi Memoriali si ampliano, a volte, ad accogliere lunghe, articolate praefationes circa le finalità del nuovo istituto, i meriti dei suoi promotori, i benefici che ne avrebbero tratto i cittadini e la collettività in sé. L’inserimento di queste praefationes mostra così quanto fosse sentito «nuovo» nell’ambiente degli stessi addetti l’utilizzo dello strumento Memoriale ai fini di salvaguardare le testimonianze dei diritti privati nascenti dagli atti notarili8.

Del tutto evidenti sono poi le differenze relative ai fattori dei due tipi di Memoriali; differenze strettamente legate e motivate dalle diverse finalità proprie delle due registrazioni: la tutela dei diritti del comune, per i primi; la tutela dei diritti dei privati, per i secondi. Nei Memoriali dei Procuratori del comune la registrazione degli elementi [p. 1097] essenziali dei singoli contratti avveniva ad opera dei notai addetti a tale ufficio, su disposizione dei Procuratori stessi, senza intervento del privato, controparte dell’atto registrato. Egli aveva tuttavia un diritto a sollecitare questa registrazione al fine di completare la fattispecie necessaria all’efficacia dello stesso atto9. Anche nei Memoriali attivati nel 1265 la registrazione avveniva ad opera dei notai addetti all’ufficio; ma la richiesta di tale registrazione doveva provenire necessariamente e soltanto dal privato, anzi — ed è questo un aspetto abbastanza singolare — da tutte le parti dell’atto.

Differenza ancora più significativa è quella concernente l’incidenza della singola registrazione in rapporto all’atto corrispondente. La registrazione di determinati atti nei Memoriali dei Procuratori del comune era condizione per la loro efficacia, ma non per la loro validità. Nei Memoriali redatti a partire dal 1265 la registrazione era invece necessaria per la validità dell’atto, quale elemento essenziale della complessiva fattispecie. Di conseguenza la registrazione nei Memoriali dei Procuratori del comune era una scrittura successiva all’instrumentum; quella negli altri Memoriali precedeva la redazione dell’instrumentum, ponendosi anzi, almeno per alcuni atti, tra il momento della compilazione della scheda e quello dell’imbreviatura10.

Dalla stessa diversità circa l’incidenza delle registrazioni derivano altresì le differenze circa la durata della validità delle intere unità documentarie-Memoriali. Quelli dei Procuratori del comune, con il trascorrere del tempo e l’esecuzione delle obbligazioni in essi dedotte, potevano venire annullati e, con apposito provvedimento, anche rimossi dagli archivi del comune11. Per gli altri Memoriali ciò era totalmente impossibille.

Da tutto questo deriva che se il problema di tutelare i diritti nascenti dagli atti notarili fu avvertito ed affrontato in quasi tutte le città reggentesi ad ordinamento autonomo e se la raccolta di «memorie» di atti rogati da notai attraverso la scrittura, ad opera di notai diversi, di [p. 1098] elementi essenziali di questi atti in registri del comune apparteneva già all’esperienza documentaria bolognese — e sicuramente non solo bolognese — particolare e nuovo fu l’utilizzo e l’adattamento di quest’ultimo strumento a perseguire il primo scopo.

Si torna così a porre l’accento sulla particolarità dell’istituto dei Memoriali. Tuttavia per chiarire meglio tale concetto e per indicare, come premesso, quali motivi ne abbiano favorito la nascita è opportuno cercare di vedere quali fossero le condizioni dell’esercizio della professione notarile in Bologna all’aprirsi della seconda metà del secolo XIII. A tale proposito, ad illustrare queste condizioni può valer anzitutto un dato numerico, quello dei notai attivi.

Un esame condotto sui Memoriali di uno degli anni iniziali, nei quali è presumibile che la nuova normativa si fosse ormai definitivamente imposta, ha rivelato che erano attivi nell’arco del trimestre da gennaio a marzo del 1270 — il che vale a dire che erano attivi contemporaneamente — nella città e borghi di Bologna ben seicento notai. Si intenda, è questo il numero dei notai realmente attivi in città, non quello, molto più elevato, di coloro che avevano ricevuto la nomina a notaio. Se si considera infatti che tra questi notai attivi alcuni avevano ottenuto la qualifica professionale fin dal 1240, il numero di seicento notai costituisce soltanto la parte emergente del blocco di oltre duemila notai, nominati nel corso degli ultimi trent’anni12. E questo in una città che soltanto alla fine del secolo raggiungerà i 50.000 abitanti; che poteva contare sulle risorse di un contado ricco, ma molto limitato; che si giovava di un motore economico — lo Studio — soggetto a ricatti troppo forti e ad imitazioni altrettanto facili per poter esercitare a lungo e con efficacia la sua capacità propulsiva13.

[p. 1099] Il numero di seicento notai appare dunque eccessivo rispetto alla potenzialità di occupazione. Ed infatti ricerche condotte su altri documenti mi hanno consentito di formulare l’ipotesi che soltanto il 10 % di questi notai potesse contare sugli introiti della rogazione di almeno un atto al giorno14. Ne consegue pertanto che per oltre cinquecento notai la professione notarile doveva necessariamente accompagnarsi all’esercizio di altre attività e di incarichi diversi.

In questa situazione non è forse necessario collegare la nascita dell’istituto dei Memoriali al pericolo di «distruzione di documenti a causa delle lotte di fazione»15. Molto più facilmente devono essere state proprio le condizioni di estrema polverizzazione dell’esercizio della professione notarile e l’esasperato clima di concorrenza tra i vari notai ad indicare che, per una sicura protezione ai diritti nascenti dagli atti notarili, era opportuno scavalcare d’un balzo tutta la documentazione prodotta da una miriade di stationes notarili, recependo elementi essenziali di tali atti in una documentazione pubblica.

Ad indirizzare verso questa scelta dovettero comunque concorrere anche altri fattori ed anzitutto, com’è stato ripetutamente rilevato16, la suggestione che l’istituto della insinuatio doveva esercitare nel ceto dirigente bolognese così vicino all’ambiente dello Studio. Ed è anche possibile che un ruolo non marginale abbia rivestito quell’abolizione di qualsiasi steccato tra l’attività notarile ed i campi prettamente publici quali il giudiziario e l’amministrativo, che caratterizza le opere di Rolandino apparse all’aprirsi della seconda metà del XIII secolo17. L’uso di uno strumento pubblico per dare certezza ai diritti [p. 1100] privati nascenti dagli atti notarili poteva così apparire, quantunque nuovo, pienamente assimilabile nel contesto istituzionale cittadino.

Che, d’altra parte, il perseguire tale certezza fosse in questo periodo realmente e particolarmente desiderabile lo si deduce anche da altre fonti. Odofredo, scomparso proprio nel novembre del 1265, narra come pratica non insolita, anche se in parte superata («olim») quella del notaio il quale si accordava con la parte più forte («creditor») ai danni della più debole («debitor») al momento di tradurre nel documento il precedente accordo negoziale18. Certo, non sembra che i notai godessero di particolare stima da parte di Odofredo: appena ne ha il destro egli non si trattiene dall’ironizzare sul grossus notarius che scrive di un legato d’usufrutto senza l’uso della cosa e simili piacevolezze19. Non per questo, nel caso specifico, la sua testimonianza appare meno verosimile, tanto più che egli pone in rapporto questo comportamento di notai cittadini con una precisa norma degli statuti, atta appunto ad impedire tale comportamento20.

Tuttavia non erano soltano i notai ad agire con eccessiva disinvoltura nei confronti dei diritti affidati ai documenti. Sempre Odofredo racconta come in Bologna i padri di famiglia più accorti ricorressero all’espediente di redigere il proprio testamento in doppio esemplare, ciascuno dei quali veniva affidato ad un distinto convento. Ciò allo scopo di rendere più difficile ai propri figli la distruzione dell’atto, cosa che — è appena il caso di notarlo — avrebbe sollevato costoro dall’obbligo di eseguire i legati disposti21.

In questa situazione acquistano spessore di una viva ed immediata preoccupazione le ricorrenti norme che, nella legislazione comunale fissata negli statuti di metà secolo, denunciano la gravità della pratica di falsificare i documenti. A contrastare questa pratica appariva preordinata quella norma, che abbiamo già detto ricordata de Odofredo, la quale imponeva ai notai di rileggere alle parti il testo [p. 1101] dei contratti d’importo superiore a 25 lire22. Questa norma, con la indicazione di un limite oltre il quale doveva applicarsi ai contratti una particolare tutela, riveste un interesse quale precedente dell’ordinamento istitutivo dell’ufficio dei Memoriali. Circa la sua efficacia ai fini di combattere la falsificazione dei documenti credo invece — ed altri ha già avanzato la stessa perplessità23 — di dover nutrire qualche dubbio, dal momento che non è affatto chiaro nè come se ne potesse controllare l’applicazione nè da parte di chi.

Maggiore aiuto non offriva neppure un altro strumento, che era stato predisposto circa cinquant’anni prima per affrontare una situazione di crisi dell’attività notarile, simile, per certi aspetti, a quella manifestatasi nella seconda metà del secolo. Questo strumento era costituito da un Liber notariarum, un elenco di tutti i notai abilitati all’esercizio della professione in Bologna e nel suo distretto24. Condizione essenziale per l’iscrizione in tale liber era divenuto in breve tempo il superamento di un esame di notariato25. Tuttavia le diverse modifiche subite dalla procedura di questo esame sono altrettanti indici degli affannosi tentativi — frutto spesso di compromessi tra il comune e la società dei notai — di adattare questo strumento alle sempre più mutevoli esigenze di una città che viveva una rapida espansione demografica e sociale.

Nell’aprile del 1265 questi due strumenti — l’uno di applicazione difficilmente controllabile; l’altro relativo solo al momento iniziale dell’attività notarile — vennero quindi affiancati da un nuovo strumento, che, individuando con precisione gli atti soggetti a particolare tutela, rendeva contemporaneamente responsabili di tale tutela alcuni ufficiali dell’amministrazione cittadina. Questo strumento veniva così a toccare non il momento iniziale della professione notarile, ma il suo quotidiano esercizio. Esso poteva perciò interessare [p. 1102] non tutti coloro che avevano la qualifica di notaio, ma soltanto coloro che esercitavano realmente la professione. Al tempo stesso questo strumento coinvolgeva — ed in prima persona — tutti coloro che ricorrevano all’attività di questi professionisti. Gli interessi messi in gioco o in qualche modo toccati erano pertanto numerosissimi.

Gli autori degli ordinamenti dell’aprile del 1265 si mostrarono indubbiamente consapevoli di questa circostanza. Il testo del capitolo XLIII — quello successivo, relativo alle emancipazioni, può considerarsi, sotto questo profilo, un semplice corollario — rivela infatti una accorta mediazione fra interessi spesso divergenti o addirittura contrapposti. Ed è nei criteri di questa mediazione che debbono ricercarsi i motivi del rapido e pacifico inserimento dell’ufficio dei Memoriali tra gli altri istituti dell’ordinamento pubblico bolognese. Per valutare tali criteri, oltre che per individuare in modo più preciso le funzioni attribuite all’ufficio del Memoriali, credo quindi necessario rileggerne l’ordinamento istitutivo con una attenzione maggiore di quanto finora fatto.

A tale scopo è opportuno notare anzitutto che l’obligo di procedere alla registrazione venne fatto gravare sugli autori degli atti — direttamente o tramite un procuratore, se impediti o minori o donne — con esclusione pertanto dei notai che quegli stessi atti avevano scritto. Ciò spiega di per sé il tipo delle registrazioni che secondo l’ordinamento dovevano essere effettuate. Se gli autori degli atti potevano essere in grado di indicare con sicurezza e precisione tutte le publicationes dell’atto (data, luogo, nomi dei testi e del notaio) ed il suo contenuto essenziale (la vendita di un appezzamento di terra o di una casa, l’ammontare della dote, il numero e la stima degli animali concessi in soccida) meno facilmente potevano ricordare le diverse clausole, le varie renunciationes, promissiones, etc., nelle quali si specificava ed articolava l’intero contenuto della negoziazione e che solo in minima parte ed in rari casi vengono infatti registrate.

D’altra parte attribuire solo ai privati l’obbligo di recarsi di fronte agli addetti all’ufficio dei Memoriali significava eliminare le prime e più forti opposizioni all’ordinamento da parte dei notai. Essi infatti [p. 1103] non venivano gravati da alcun nuovo onere ed avevano la sicurezza che le registrazioni effettuate a cura dei privati e secondo lo schema previsto nell’ordinamento non sarebbero state potenziali concorrenti della documentazione notarile. Pur essendo consentito a chiunque ne avesse interesse di prendere visione dei registri di Memoriali ed anche di averne copia, era evidente che le registrazioni in essi contenute, nella loro estrema sinteticità, non avrebbero potuto venire utilizzate al posto dell’instrumentum rilasciato del notaio. Restava così intatto il valore patrimoniale dei registri di imbreviature che costituivano una preziosa fonte di reddito per i notai e per i loro stessi eredi.

Un secondo elemento interessante fu quello del costo della registrazione: addossato interamente alla collettività, non poteva, almeno in una prima fase, suscitare particolari proteste o resistenze da parte degli interessati.

Degne di nota sono inoltre le misure adottate onde contenere, per quanto possibile, l’inevitabile disagio dei privati di dover prolungare i tempi necessari alla contrattazione. L’ufficio dei Memoriali venne ubicato nel palazzo del comune, il centro degli affari. Inoltre uno dei notai fu distaccato stabilmente nel Cambio ed un altro nei giorni di mercato si recava nel luogo a ciò deputato.

Naturalmente tutto ciò non poteva essere sufficiente. Pur avendo reso gratuito ed abbastanza semplice l’adempimento dell’obbligo imposto era necessario riempire tale obbligo di effettivo significato per le parti ad esso assoggettate e porre al tempo stesso una penalità per la sua inosservanza di intensità proporzionale al beneficio promesso. E l’ordinamento che istituì l’ufficio dei Memoriali rispose adeguatamente anche a queste esigenze.

Il beneficio attribuito dalla registrazione era costituito dalla certezza del diritto. Veniva infatti offerta ai privati la garanzia che gli elementi essenziali delle modifiche da essi apportate alla propria sfera dei diritti sarebbero stati assicurati come «memoria perenne» ad opera della stessa organizzazione pubblica. Essa ne curava infatti non solo il momento della registrazione ma anche quello della successiva conservazione, attraverso la camera degli Atti, l’archivio dello Stato bolognese. Di contro, la mancata registrazione comportava la [p. 1104] invalidità — nullità dell’atto con conseguente inefficacia non solo per i terzi ma tra le parti stesse.

L’insieme beneficio-penalità veniva così a creare in capo a ciascun autore di un atto notarile un preciso interesse alla registrazione di tale atto. Tuttavia affinché questo interesse fosse realmente tale da rendere sopportabili i disagi della registrazione, concreti i benefici e temibili le conseguenze del mancato adempimento dell’obbligo, questo non poteva riguardare indifferentemente tutti gli atti rogati dai notai, ma doveva essere limitato soltanto ad una parte di essi. Furono così le eccezioni all’obbligo della registrazione che costituirono le ulteriori misure valide ad assicurare la attuazione dell’ordinamento che istituì l’ufficio dei Memoriali.

Come già indicato, le eccezioni furono di tre ordini. Il primo concerneva gli atti rogati dai notai in qualità di ufficiali dell’amministrazione cittadina. Il motivo di questa esclusione va ricercato negli ormai sofisticati strumenti di documentazione e di archiviazione predisposti per assicurare la tutela o almeno una precisa «memoria» di tutti gli atti normativi, politici, amministrativi e giudiziari prodotti dall’organizzazione cittadina. Per tutti questi atti, anche per quelli interessanti in primo luogo i privati, la registrazione nei Memoriali sarebbe stata un inutile doppione.

Il secondo ordine di eccezioni riguardava alcuni contratti di locazione e in particolare quelli di locazione d’opere, di terre «ad laborandum» e di apprendistato. Le ragioni di questa esclusione vanno ricercate nella terza e più generale esclusione, concernente tutti i contratti il valore del cui oggetto non superava le venti lire di bolognini. In questi tre contratti infatti il sinallagma tra le opere prestate, la concessione del fondo e l’insegnamento veniva realizzato prevalentemente o totalmente attraverso una partecipazione agli utili; partecipazione che non era valutata preventivamente in danaro26.

[p. 1105] Il terzo ordine di eccezioni toccava infine, come appena indicato, tutti indistintamente i contratti il valore del cui oggetto non fosse almeno pari a venti lire di bolognini. Lo stesso limite valeva anche per alcuni atti di volontaria giurisdizione, tutele ed inventari, nei quali veniva valutato, ai fini della registrazione, il valore dei beni del minore assoggettato a tutela o inventariati, mentre per l’inserimento delle procure la valutazione era riferita al valore dei beni oggetto della successiva negoziazione. Il ricorso ad una indicazione di valore in questi ultimi casi può apparire abbastanza artificioso, ma la sua finalità era evidentemente quella di porre un unico limite, un solo criterio di discriminazione, valido per tutti gli atti rogati dai notai.

Ed io credo che la scelta di questo particolare valore sia stata determinante nell’assicurare il successo dell’ordinamento. Venti lire di bolognini erano infatti una somma tutt’altro che irrilevante. Intorno al 1265 essa corrispondeva all’incirca alla stima di una coppia di buoi da lavoro o di una tornatura (1/5 di ettaro) di vigneto. Essa serviva quindi a discernere, in modo forse grossolano ma pienamente attendibile, quei beni della cui contrattazione era augurabile rimanesse una «memoria» incontrovertibile. Nel valore degli oggetti degli atti da inserire nei Memoriali si realizzava un efficacissimo punto di incontro fra l’interesse della collettività ad assicurare la certezza delle modifiche della sfera dei diritti privati e l’interesse dei singoli a commisurare il disagio cui venivano sottoposti ad un beneficio realmente ed immediatamente apprezzabile.

Circa gli atti di ultima volontà si può notare come la registrazione della semplice redazione dell’atto fosse di per sé in grado di porre rimedio a quel pericolo di distruzione denunciato da Odofredo. L’ordinamento istitutivo dei Memoriali consentiva tuttavia la sopravvivenza del testamento segreto, affidato ai conventi cittadini. Venivano così egualmente protetti coloro che preferivano affidare al silenzio assoluto la salvaguardia della propria ultima volontà e gli interessi degli stessi conventi che dalla funzione di depositari di tali atti avevano motivo di sperare concreti benefici.

In questo sapiente dosaggio di vecchio e di nuovo, di consuetudini inveterate e di necessità emergenti, di tutela dei privati e di perseguimento [p. 1106] di finalità già pubbliche risiedono quindi sia la particolarità dell’istituto dei Memoriali sia la ragione principale del suo successo.

Ciò non significa evidentemente che l’istituto sia rimasto sempre lo stesso. Già nel corso del secolo XIII si ebbero anzi profonde modifiche che interessarono i soggetti sottoposti all’obbligo, il costo della registrazione, lo stesso schema di inserimento degli atti: si potrebbe anzi affermare che in questa capacità di adattamento al mutare delle esigenze della società del periodo l’istituto dei Memoriali rivelava la propria vitalità. Non è peraltro mia intenzione seguire ora queste modifiche e questi adattamenti, che richiederebbero un esame lungo e articolato. E discorso ancora più lungo comporterebbe l’intera vicenda dell’istituto: dalla crisi manifestatasi già nella seconda metà del secolo XIV alla sua sostituzione alla metà del successivo con l’ufficio del Registro, che ne ereditò finalità e sistemi e che fu attivo fino al cadere del secolo XVIII. Occorrerebbe ben altro spazio che quello di una comunicazione27. Ciò che invece posso limitarmi ad aggiungere è una semplice notazione di sapore prettamente archivistico.

La conservazione dei registri di Memoriali, affidata in origine all’archivio del comune bolognese e curata ora, dopo vari passaggi, dall’Archivio di Stato di questa città, ha risposto pressoché interamente alle iniziali intenzioni ed aspettative. Nonostante qualche inevitabile lacuna, i registri dei Memoriali fino alla metà del secolo XIV hanno conservato e tramandato le testimonianze di circa ventimila atti notarili rogati ogni anno in Bologna. Quelli che erano stati un tempo gli strumenti attraverso cui l’istituto del notariato aveva contribuito allo sviluppo ed all’articolarsi della vita sociale della città sono ora fonti per la ricerca storica. Sappiamo che si tratta di fonti mediate dall’ottica dei notai che scrissero quei documenti e da quella degli uffici pubblici che li trasferirono nei propri registri. Fonti quindi che [p. 1107] — al pari di tutte le altre — devono essere interpretate. Ma la eccezionale ricchezza di dati contenuti in queste fonti offre, credo, anche gli elementi per la loro corretta interpretazione. E mi piace immaginare che questo sia l’ultimo risultato, in ordine di tempo, conseguito da quell’istituto dei Memoriali, nato, otto secoli fa, per tutelare la certezza del diritto.


1 G. Orlandelli, Premessa a Liber sive matricula notariorum comunis Bononie (1219-1299) a cura di R. Ferrara e V. Valentini, Roma, 1980, p. VIII.

2 Statuti di Bologna dall’anno 1245 all’anno 1267 a cura di L. Fratri, voll. 3, Bologna, 1869-77, III, p. 625-31.

3 Archivio di Stato di Bologna (d’ora innanzi A.S.B.), Comune, Ufficio de Memoriali, vol. 1.

4 P. Torelli, Studi e ricerche di diplomatica comunale, II, Mantova, 1915; n. ed. Roma, 1980, p. 196.

5 Per Genova cfr. G. Costamagna, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma, 1970, pp. 215 e sgg. Per le altre città cfr., rispettivamente, Guida generale degli Archivi di Stato italiani a cura del Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici. II, Roma, 1983, p. 123; Archivio di Stato di Siena, L’archivio notarile (1221-1861) a cura di G. Catoni e S. Fineschi, Roma, 1975, pp. 13 e sgg.; A. Da Mosto, L’Archivio di Stato di Venezia, voll. 2. Roma, 1937, I, pp. 235 e sgg.

6 A.S.B., Comune, Procuratori del comune, reg. 2; reg. 7; vol. 10, cc. 26-29.

7 Rolandinus Rodulphini, Summa totius artis notariae, Venetiis, 1574, Tractatus de officio tabellionatus in villis vel castris, pp. 520, I-521, I, in particolare, p. 520, I, A e B.

8 A.S.B., Comune, Ufficio dei Memoriali, vol. 2, c. 125; memoriale di Amadore da Budrio; vol. 4, c. 121: memoriale di Iacopino Fabri.

9 Statuti di Bologna… a cura di L. Frati, cit., II, p. 267 (l. VIII, cap. LXXIX).

10 Per l’analisi dei rispettivi rapporti tra scheda e imbreviatura cfr. C. Pecorella, Studi sul notariato a Piacenza nel secolo XIII, Milano, 1968, pp. 77-123.

11 A.S.B., Comune, Procuratori del comune, reg. 8 (a. 1261), c. 20.

12 Liber sive matricula… a cura di R. Ferrara e V. Valentini, cit., pp. 88-286.

13 A.I. Pini, Problemi di demografia bolognese del Duecento in «Atti e memorie della Deputazione di Storia patria per le province di Romagna» n. s. XVII-XIX (1968), pp. 147-222; L. Dal Pane, La vita economica a Bologna nel periodo comunale. La struttura economica, Bologna, 1957; ID., Lo «Studio» e l’economia della città in AA. VV., Atti del convegno internazionale di studi accursiani, voll. 3, Milano, 1968, I, pp. 41-53.

14 Circa questi aspetti faccio rinvio ad un lavoro di prossima pubblicazione nel quale vengono esaminate anche le vicende dell’ufficio del Memoriali nel corso dell’intero secolo XIII.

15 C. Malagola, L’Archivio di Stato di Bologna dalla sua istituzione a tutto il 1882 in «Atti e memorie…», s. III, 1 (1883), pp. 145-220, in particolare, p. 158.

16 V. Franchini, L’instituto dei «Memoriali» di Bologna nel secolo XIII in «L’Archiginnasio», IX (1914), pp. 95-106, in particolare p. 102; W. Cesarini Sforza, Sull’ufficio bolognese dei «Memoriali», ibid., pp. 379-92, in particolare p. 389.

17 Per le opere di Rolandino si intende, oltre ovviamente alla Collectio contractuum, nucleo centrale della futura Summa, anche il breve Tractatus de officio… cit. Sull’influsso innovatore di Rolandino, specie in rapporto all’insegnamento di altri maestri, cfr. G. Orlandelli, Appunti sulla scuola bolognese di notariato per una edizione dell’«Ars Notariae» di Salatiele in «Studi e memorie per la storia dell’Università di Bologna», n.s. II (1961), p. 3-54.

18 Odofredus, Lectura super Codice, I, Lugduni, 1552 (rist. an., Bologna, 1968), p. 217, II, B.

19 Ibid., p. 217, I, A.

20 Statuti di Bologna… a cura di L. Frati, cit., II, p. 60 (l. VII, cap. XLVI).

21 Odofredus, Lectura super Infortiato, II, Lugduni, 1553 (rist. an., Bologna, 1968), p. 27, I, B.

22 Cfr. nota 20.

23 C. Pecorella, Studi sul notariato… cit., pp. 99-103.

24 Liber sive matricula… a cura di R. Ferrara e V. Valentini, cit.

25 Cfr., oltre al testo precedentemente citato, R. Ferrara, «Licentia exercendi» ed esame di notariato a Bologna nel secolo XIII in AA. VV., Notariato medievale bolognese. II. Atti di un convegno, Roma, 1977, pp. 48-120.

26 Si noti anche, circa le locazioni di terre «ad laborandum», che in questo contratto non era neppure prevista la deduzione della stima dell’appezzamento di terra (cfr. Salatiele, Ars notariae a cura di G. Orlandelli, Milano, 1961, II, p. 280, glossa-c) a differenza, ad esempio, dai contratti di locatio bouum ad laborandum, in merito alla stima degli animali (cfr. ibid., p. 281, glossa-b) e che, sulla base di questo valore di stima, possono infatti venire registrati. Circa il contratto di apprendistato cfr. R. Greci, Il contratto di apprendistato nelle corporazioni bolognesi in «Atti e memorie…» cit., n.s., XXVII (1977), pp. 145-78; XXVIII (1979), pp. 61-106.

27 Circa queste ulteriori vicende cfr. G. Cencetti, I precedenti storici dell’archivio notarile in Bologna in «Notizie degli Archivi di Stato», II (1943), pp. 117-24; ried. in Notariato medievale bolognese. I. Scritti di Giorgio Cencetti, Roma, 1977, pp. 183-98. Dell’archivio dell’ufficio dei Memoriali è altresi in corso di stampa l’inventario a cura della d.ssa Luisa Continelli.

Nella serie «Documenti e Studi» della Deputazione di Storia patria per le province di Romagna.