[p. 1283] L’evoluzione del notariato nella Corsica medioevale (secoli XI-XIV)
Nel suo studio sull’espansione pisana nel Mediterraneo fino alla Meloria, il Rossi Sabatini scriveva: «Si può dire senza timore di esagerazione che la storia della Corsica e della Sardegna dal secolo X a tutto il XIII si assommi e si riduca, in sostanza, alla storia dei rapporti con Pisa e con Genova e della costante rivalità di queste due repubbliche»1. Questa affermazione, in apertura di un capitolo intitolato «Corsica e Sardegna nella politica e nel commercio di Pisa», è seguita da una breve analisi della penetrazione pisana che, per ciò che riguarda la Corsica, non si limitò allo sfruttamento commerciale e alla creazione di fortezze militari e stazioni di transito marittimo, ma comportò la instaurazione di una dominazione politica, religiosa e culturale che è passata alla storia come il felice periodo della «pax Pisana».
La presenza nell’isola, già in epoca anteriore alla penetrazione politica e commerciale pisana, di chiese e monasteri della città, del contado e dell’arcipelago toscano, favorì la missione del vescovo [p. 1284] pisano Landolfo che Gregorio VII inviò come vicario pontificio nell’isola, con poteri spirituali e temporali2. Nel 1091 Urbano II confermò poi al vescovo pisano Daiberto le bolle di Gregorio VII, e l’anno successivo lo nominò arcivescovo, affidandogli la primazia sulle diocesi di Corsica. Il successo della missione di Landolfo, che doveva riportare l’isola sotto il dominio della Chiesa di Roma, si può spiegare non soltanto tenendo conto del desiderio di ordine e di pace della popolazione corsa, che aveva sollecitato l’aiuto e l’intervento pontificio per difendersi dalla tirannia dei signorotti locali, ma anche considerando l’importante presenza dei monaci dell’isola di Gorgona, che da alcuni anni si erano installati nel nord della Corsica ed avevano ottenuto la protezione e la concessione di beni immobili da parte delle maggiori famiglie novili e degli stessi marchesi di Corsica.
E’ a partire da quest’epoca (seconda metà del secolo XI) che possiamo cominciare a studiare la storia della Corsica utilizzando documentazione prodotta nell’isola. Oltre alle numerose fonti documentarie relative alle colonie genovesi di Calvi e Bonifacio, che dopo gli studi di Vito Vitale sono state spesso oggetto di ricerche, dovute soprattutto a studiosi dell’Università di Genova3, per avere una visione d’insieme dell’evoluzione storica della società corsa, e per poter collocare nella sua giusta luce l’istituzione notarile al di fuori delle città-fortezze riservate ai dominatori, si è rivelato prezioso il materiale documentario proveniente dagli archivi delle istituzioni [p. 1285] monastiche benedettine e — più in generale — da archivi di enti religiosi liguri e toscani presenti nell’isola fin dall’undecimo secolo. Queste fonti scritte, utili non soltanto per la ricostruzione della storia dei dominatori laici ed ecclesiastici dell’isola, ma anche per approfondire la conoscenza dei processi interni di evoluzione della società corsa durante il periodo pisano e poi per tutta l’epoca della signoria di Genova, ci offrono anche preziose notizie sulla storia del notariato in Corsica.
Le notizie scarse e frammentarie sulla Corsica in età altomedioevale ci impediscono di parlare delle origini e delle fasi di sviluppo del notariato corso in epoca anteriore al secolo XI. E’ però probabile, come scriveba il Grégori nel secolo scorso4, che la dominazione longobarda e la successiva dipendenza dalla Marca di Tuscia in epoca franca abbiano lasciato tracce nelle istituzioni civili e nel sistema giuridico insulare. L’influenza del dominio longobardo fu anche sottollineata dal Solmi, il quale parla di diritti «che si configurano nelle forme degli usi civici continentali», mentre a partire dal XII secolo egli individua «forme abbastanza rispondenti al diritto pisano e alle consuetudini locali della Toscana rurale»5. Il Grégori, magistrato e storico del diritto che pubblicò fra l’altro una raccolta di statuti civili e criminali di Corsica e un ampio studio sulla cultura giuridica e la legislazione medioevale corsa, individuò nelle istituzioni e nelle leggi longobarde la base del sistema giuridico insulare. All’editto di Rotari, e soprattutto alle leggi emanate da Liutprando, egli fa dunque riferimento quando analizza da un punto di vista storico-giuridico le caratteristiche della Corsica medioevale. Ad esempio, la presenza del launechild negli atti di donazione, la consuetudine della offerta di beni mobili e immobili in favore di enti ecclesiastici «pro remedio animae», sarebbero state introdotte in Corsica grazie alla dominazione longobarda, alla quale Grégori attribuisce anche il merito di aver dotato la società insulare di un sistema giuridico e legislativo capace [p. 1286] di tutelare i diritti dei singoli nel pieno rispetto degli interessi della collettività6.
In mancanza di documenti coevi, è solo dallo studio delle fonti di epoca pisana e genovese che si possono ricavare alcune notizie utili, che tuttavia non sempre consentono di risalire alle origini (longobarde, autoctone, romane?) degli istituti, leggi e consuetudini corse. E’ comunque possibile, dall’esame della documentazione superstite finora nota, analizzare i principali aspetti e gli elementi specifici del notariato corso, dal periodo pisano (XI-XIII secolo) all’epoca della dominazione genovese (a partire dal XIV secolo). Per poter affrontare adeguatamente il problema dell’influsso longobardo nella sfera del diritto e degli atti privati, sarebbe necessario disporre di documenti redatti nell’isola durante l’alto medioevo, documenti che invece mancano o di cui comunque non si ha finora notizia. Né risultano documentate le forme e le caratteristiche dell’adattamento del diritto romano e poi di quello di Bisanzio alla situazione socio-economica corsa, in epoca anteriore alla conquista longobarda. Certo è invece che dall’epoca bizantina e per tutto il corso del medioevo, anche in Corsica i rapporti fra privati sono retti dal «corpus» giustinianeo, in cui è possibile vedere la «ratio scripta» relativa ad una società poco articolata, caratterizzata da una economia scarsamente sviluppata e dal ruolo fondamentale della proprietà immobiliare agraria. Non è dunque tanto in relazione con profonde trasformazioni interne che si presenta l’esigenza di una scienza giuridica nuova, quanto in conseguenza di una dominazione — quella pisana — che crea bisogni e situazioni nuove in un tessuto sociale statico e privo di relazioni con il resto del mondo. L’importante rinnovamento che si [p. 1287] ebbe nell’Italia centro-settentrionale fra l’undecimo e il XII secolo fece sì che si disgregassero le vecchie autonomie feudali. Il risorgere delle città, la nascita dei Comuni cittadini, il nuovo sviluppo dell’economia monetaria provocarono profondi mutamenti nella società, in seguito ai quali, come è noto, si impose il rinnovamento della scienza giuridica, che causò importanti innovazioni anche nel campo del diritto privato, dei documenti privati e del notariato7. Di tutto ciò, in seguito alla presenza benedettina, poi a causa della «riconquista» pontificia dell’isola affidata al vescovo pisano, e ancor più in relazione con la dominazione di Pisa, la Corsica risentì anche nel campo della vita giuridica, sia pure in forme e modi diversi rispetto all’Italia.
Le fonti documentarie più numerose ad importanti per una analisi del notariato medioevale in Corsica provengono, come ho accennato, dagli archivi delle abbazie liguri e toscane che fin dal secolo XI possedevano nell’isola «celle», chiese, cappelle e proprietà fondiarie. Fra queste, il monastero benedettino di S. Maria e S. Gorgonio dell’isola di Gorgona risulta il puì importante non solo per la quantità e qualità delle proprietà insulari, ma anche per la ricchezza della documentazione pervenutaci. Il recentissimo ritrovamento di interessanti documenti, tuttora inediti, relativi ai beni di questo monastero situati nella Corsica settentrionale, ci consente di conoscere in modo migliore non soltanto le vicende storiche della Corsica monastica, ma anche l’attività dei redattori, professionisti e occasionali, di atti privati relativi alla gestione del patrimonio insulare e ai rapporti fra la popolazione indigena e i rappresentanti delle istituzioni religiose italiane. Propietà fondiarie, chiese e cappelle possedeva in Corsica anche il monastero benedettino di S. Venerio del Tino presso La Spezia, fin dalla seconda metà del secolo XI. I documenti che ci sono pervenuti forniscono preziose informazioni sullo sviluppo del notariato corso, sia durante il periodo pisano sia all’epoca della dominazione genovese. [p. 1288] Altre fonti utili sono i documenti superstiti di altre abbazie e chiese liguri e toscane che possedevano beni nell’isola: S. Bartolomeo di Fossato di Vallombrosa e S. Benigno di Capodifaro in diocesi di Genova, proprietarie di terre e chiese nelle diocesi di Aleria, Aiaccio e Sagona; S. Michele in Borgo di Pisa, S. Salvatore e S. Quirico di Populonia, S. Mamiliano di Montecristo, per non parlare di altri enti religiosi e ospedalieri la cui documentazione è di scarso interesse per la storia del notariato insulare.
Nei più antichi documenti riguardanti le propietà corse di questi monasteri, possiamo notare che il ricorso a notai professionisti è molto raro. Il primo documento pervenutoci, un breve redatto fra il 1070 e il 1080, si riferisce ad un placito presieduto dal marchese di Corsica Alberto Rufo del fu Alberto per rendere giustizia all’abate di Gorgona circa l’usurpazione di proprietà donate al monastero dalla nobile famiglia dei Pinaschi. Il documento risulta redatto nel nord dell’isola da un anonimo estensore per ordine del marchese Alberto. Altri due documenti della fine dello stesso secolo, relativi a donazioni di beni corsi in favore dello stesso ente, sono dovuti allo «scriptor» Rustico, «clericus Lombardus» e «gramaticus Rossellensis, qui erat tunc tempore in servitio domini Pisani abbatis»8. Infine, per lo stesso secolo, una «cartula offersionis et donationis» con cui il vescovo della diocesi di Aleria dona a S. Gorgonio la chiesa di S. Reparata di Balagna con beni pertinenti, fu redatta — alla presenza del marchese Ugo e di molti altri testimoni — da uno sconosciuto estensore, il quale alla fine del documento, pervenutoci in originale, aggiunge: «Et ego Landolfus episcopus cum clericis meis, videlicet cum presbitero Landolfus et cum Vivenzo diaconus et cum Iohanne presbitero, firmavi hanc cartulam»9. Per in documenti del secolo successivo, notiamo che la maggior parte sono redatti da preti e monaci dipendenti dal monastero di Gorgona. Benchè redatti da ecclesiastici privi di titolo [p. 1289] notarile, questi documenti avevano evidentemente pieno valore giuridico. Il ricorso ad un notaio imperiale è rilevabile in una donazione effettuata dai marchesi di Corsica Ugo e Guglielmo in favore di S. Gorgonio nel 111610, mentre in occasione di altre offerte di importanti proprietà fondiarie i redattori degli atti sono religiosi dipendenti dal monastero cui erano destinate le donazioni. La validità di questi documenti, nei quali la registrazione scritta della volontà delle parti era effettuata da rappresentanti della «auctoritas» ecclesiastica agenti in funzione di notai, era rafforzata dalla presenza di testimoni che figurano costantemente nei brevi come nelle «cartulae». Egualmente, numerosi atti di concessione di chiese e proprietà effettuate in favore del monastero da parte di vescovi corsi non sono redatti da notai, né contengono formule di «completio»; sono però dotati della sottoscrizione dei vescovi e di altri ecclesiastici di rango elevato, in un’epoca in cui né i marchesi né i Vescovi di Corsica disponevano di una vera e propria cancelleria, e dovevano far ricorso all’opera di notai o — più spesso — di semplici «scriptores», che in molti casi non sono neppure nominati dagli autori giuridici che li avevano incaricati della stesura degli atti. Verso la metà del XII secolo notiamo che anche in Corsica comincia a diffondersi l’uso di ricorrere a notai professionisti, uno dei quali, Guglielmo notaio della Sede Apostolica, redasse diversi documenti per il vescovo di Nebbio, fra il 1137 e il 1144. Solo alla fine del secolo troviamo fra i documenti di Gorgona un atto dovuto sicuramente ad un Corso: si tratta di una importante donazione effettuata dai signori di Bagnaia in favore di S. Gorgonio e redatta dal prete Pietro de Bagnaria. Il documento ci informa tra l’altro che la «diffinitio» che aveva preceduto la donazione era avvenuta «in conventu consulum de Marana»; fra i testimoni figurano questi [p. 1290] consoli di Mariana, istituzione di probabile origine pisana, che troviamo anche in altre regioni di Corsica, come la Balagna11.
Il recente ritrovamento di numerosi documenti relativi alla vita delle filiali corse del monastero di Gorgona consente di aggiungere qualche piccola tessera all’abbozzo di mosaico riguardante il notariato corso. Mentre, come sappiamo, l’affermazione definitiva dell’istituto notarile avvenne tra il XII e il XIII secolo «in tutto il territorio italiano e poi anche fuori dell’Italia»12, in Corsica il carattere di piena validità del documento si fonda per lungo tempo sulla fiducia che le parti contraenti ripongono nella «auctoritas» religiosa di «scriptores» spesso dipendenti dallo stesso ente che risulta essere autore giuridico o destinatario degli atti. Ancora agli inizi del Duecento, vediamo che importanti concessioni a livello di terre monastiche in favore di privati corsi vengono redatte, su richiesta dell’abate di Gorgona, da personaggi che nel documento non si sottoscrivono. Dopo le parole «memoriam et recordationem facio ego X abbas etc.» segue, ad esempio, il «tenor» di un livello che si conclude con l’elenco dei testimoni presenti al momento della stipulazione13. Pur senza essere notaio di professione, lo scriba incaricato dall’abate concedente diventa così anche per i concessionari «non soltanto il perfetto redattore della espressione della loro volontà, ma anche il sicuro custode dei contratti stipulati nel corso degli anni»14. Anche nei documenti [p. 1291] relativi alle proprietà corse dell’abbazia di S. Venerio del Tino notiamo che preti e monaci legati al monastero ligure risultano redattori di donazioni effettuate da privati, di refute, libelli e brevi riguardanti la gestione del ricco patrimonio insulare. La documentazione è quantitativamente ben più scarsa rispetto a quella gorgonese, ma anche nei documenti corsi di S. Venerio si nota che i rettori delle chiese insulari dipendenti dal cenobio del Tino sono redattori di diversi atti privati nei secoli XI e XII. In altri casi, il nome del rogatario o scrittore non è neppure citato15.
Con il secolo XIII, accanto ai notai liguri e toscani, che prestavano la loro opera in seguito alla presenza benedettina nell’isola e al dominio dell’arcivescovo e del Comune pisano, e accanto ai chierici, diaconi, preti e monaci inviati nell’isola per assicurare il buon funzionamento e lo sviluppo delle filiali monastiche e delle chiese dipendenti, troviamo numerosi redattori corsi di atti privati, che in alcuni casi impiegano nella redazione dei documenti la lingua volgare. Si tratta per lo più di preti, rettori di chiese dipendenti dai monasteri italiani, che al titolo di «presbiter» aggiungono quello di «notarius» nelle sottoscrizioni finali degli atti. Data la notevole diffusione del notariato nelle regioni «continentalizzate», dovuta alle trasformazioni sociali causate dalla dominazione pisana, e in seguito da quella genovese, il prete corso — che da tempo svolgeva funzioni di notaio con l’ «auctoritas» della Chiesa — aggiunge alla dignità religiosa il titolo e la qualifica di notaio. Si tratta di una evoluzione assai lenta, anche perché per le ordinarie necessità di amministrazione dei patrimoni legati alle chiese monastiche era spesso sufficiente l’opera svolta dai singoli rettori delle chiese stesse, i quali talvolta si occupavano anche di redigere documenti relativi a transazioni fra privati nel territorio della parrocchia (divisioni di proprietà, accordi, donazioni «inter vivos» ecc.). Troviamo così, oltre a notai «stranieri» (soprattutto liguri e toscani) e a religiosi provenienti dalle abbazie italiane, preti corsi, preti-notai corsi e anche laici privi di titolo notarile, provenienti [p. 1292] dalle regioni settentrionali dell’isola (Balagna e Capo Corso in prevalenza, zone cioè in cui erano più numerose le proprietà monastiche), i quali dichiarano di redigere gli atti «secundum morem et consuetudinem» delle zone in cui operano16. Il notariato è comunque ormai anche in Corsica una istituzione largamente diffusa. A laici che svolgono funzioni notarili senza titolo professionale subentrano talvolta i figli che possono fregiarsi del titolo di notaio imperiale. Inoltre, preti-notai incaricano notai imperiali laici di redigere per loro conto documenti relativi alla gestione di proprietà ecclesiastiche17.
In questo stesso periodo (fine XIII – inizi XIV secolo) all’interno delle stesse cancellerie vescovili di Corsica gli ecclesiastici incaricati di redigere i documenti relativi all’amministrazione delle diocesi aggiungono nelle sottoscrizioni al titolo di chierico (o di prete) e notaio della curia vescovile quello di notaio imperiale. Molto rara sembra invece — stando alla documentazione finora nota — la attività di notai provvisti anche del più prestigioso titolo di giudice. Un interessante documento degli inizi del XIV secolo, riporta, in forma di «instrumentum», testimonianze giurate di abitanti di Capo Corso, relative al diritto di percesione di decime monastiche. Il documento, redatto su richiesta del procuratore dell’ente monastico e per ordine del podestà di Capo Corso, alla presenza di numerosi testimoni, è dovuto al corso Iacobino del fu Pincolleto de Casanova «imperiali auctoritate iudex ordinarius atque notarius»18.
Nel corso del Trecento il numero dei notai laici corsi, che per il secolo precedente era molto ridotto rispetto a quello dei preti-notai (i quali erano spesso rettori di chiese dipendenti da monasteri), supera quello dei preti-notai, e nella seconda metà del secolo il titolo di notaio imperiale compare più spesso rispetto a quello di semplice «notarius». Accanto a pochi notai liguri e toscani (provenienti da Pisa, Genova, Chiavari, Portovenere, Pistoia, Sarzana, ecc.), troviamo [p. 1293] numerosi notai provenienti dalle regioni settentrionali della Corsica, la Balagna, il Nebbio, Capo Corso, la Casinca19. A parte l’uso del volgare nel testo dei documenti, soprattutto nella parte dispositiva, meno legata a formule rigide e a schemi tradizionali, notiamo che la tipologia di carte e brevi, così come la loro fusione nell’ «instrumentum», seguono e rientrano nella tradizione notarile italiana. Gli atti notarili nella Corsica del XV secolo sono per lo più rogati da professionisti indigeni, che nei documenti si sottoscrivono con il titolo di notaio imperiale. Non siamo purtroppo in grado si precisare dove acquisissero tutti questi notai la loro preparazione giuridica professionale, anche se si può avanzare l’ipotesi che la loro formazione dovesse avvenire in molti casi a Genova e a Pisa, oltre che — forse — presso le cancellerie vescovili che disponevano di «notarii curiae».
I cartari monastici finora noti confermano tutti — nelle linee generali — l’importanza che l’istituto del notariato venne ad assumere anche in Corsica in seguito alla conquista pisana. Il redattore monaco o prete ligure o toscano viene lentamente sostituito dal rettore corso di chiese monastiche che si fa notaio per redigere i documenti relativi alla gestione del patrimonio ecclesiastico e alle necessità della popolazione indigena. Il passo successivo, già compiuto prima della conquista genovese, è rappresentato dal conseguimento della qualifica notarile da parte di questi religiosi. Abbiamo infine, nella Corsica genovese in cui l’istituto notarile si è da tempo affermato, il notaio imperiale, laico, corso, che si occupa anche della redazione di atti relativi alle chiese e alle proprietà monastiche dei Benedettini e dei Certosini liguri e toscani. Il secolo XV ci offre tuttavia un documento che rappresenta una eccezione rispetto alla norma del fenomeno fin qui brevemente descritto. Nel 1460 un importante documento di libello di terre monastiche concesse a privati da parte dei procuratori della Certosa di Calci, erede del monastero benedettino di Gorgona, [p. 1294] è redatto da un prete notaio. Si tratta del rettore di una chiesa che il monastero di Gorgona possedeva nella Corsica settentrionale fin dall’inizio del XII secolo. Il documento, redatto in volgare, «factum in casa dello piovano di Tomino» alla presenza di numerosi testimoni «specialiter chiamati et pregati», termina con la sottoscrizione del rogatario: «presbiter Galeottus plebanus Tomini notarius infrascriptus subscripsi»20.
Questo documento, che rappresenta una eccezione rispetto alla norma per cui anche in Corsica in pieno XV secolo erano ormai i notai, liberi professionisti laici, ad esercitare la pubblica funzione di dare certezza ai contratti privati, sembra riportarci a una situazione che nell’isola era perfettamente normale più di tre secoli prima, quando il rappresentante di una superiore «auctoritas» ecclesiastica era senz’altro riconosciuto come il responsabile della documentazione, capace di dare certezza per iscritto sia della volontà dell’autore giuridico sia dell’intervento dei testimoni. Nella Corsica settentrionale, che anche grazie alla presenza monastica era più influenzata dalla cultura giuridica italiana, già nel corso del XIII secolo il prete corso che redigeva atti privati era spesso in possesso di un titolo notarile, mentre nella Corsica meridionale — fuori della colonia genovese di Bonifacio, in cui era seguita la tradizione notarile genovese — avevano piena validità — «quia non sunt ibi notarii» — documenti redatti da «omnes qui sciunt scribere», per quanto si debba precisare che il documento da cui ricaviamo questa interessante testimonianza si riferisce all’atto di elezione di un vescovo di Aiaccio, redatto da un diacono (e non da una qualsiasi persona capace di scrivere)21. Ora, noi sappiamo che i documenti relativi alla gestione delle proprietà corse dei monasteri liguri e toscani erano custoditi dai rettori delle chiese corse dipendenti da questi enti religiosi22. Il citato documento del 1460, ad esempio, era custodito dal pievano di una chiesa di Capo [p. 1295] Corso, dipendente dal monastero di Gorgona. Ci è pervenuto in copia autentica del secolo successivo, mentre ignoriamo la sorte dell’originale, così come è avvenuto per numerosi documenti andati perduti nel corso del XVIII secolo, in un’epoca di profonda crisi dei monasteri italiani presenti nell’isola che ormai sfuggiva alla signoria genovese. Non è dunque possibile stabilire quanto ancora fosse diffusa, durante il XV secolo, la figura del prete-notaio, e se questi svolgesse una normale attività di libero professionista con una propria clientela nell’isola, o fosse invece soltanto il rogatario di documenti più o meno direttamente collegati con la sua funzione di amministratore di proprietà ecclesiastiche e di sacerdote nell’ambito della comunità parrocchiale. Il fatto che il prete-notaio Galeotto fosse pievano di Tomino, e che proprio nella sua abitazione sia avvenuta la redazione di un atto di libello relativo a terre appartenenti all’ente religioso da cui la sua chiesa dipendeva, potrebbe spingerci a congetturare che il campo di azione di questi notai ecclesiasti fosse ormai limitato alla documentazione di «routine» relativa alla gestione dei beni da loro amministrati. Resta comunque il fatto che nella società corsa del XV secolo continuasse ad operare, e a riscuotere la fiducia delle parti contraenti, un rogatario ormai «sui generis» non tanto perché prete e notaio al tempo stesso, quanto perché redattore di documenti il cui autore giuridico era l’ente medesimo da cui il rogatario dipendeva.
Senza entrare qui nel merito dei reali o presunti vantaggi e demeriti delle dominazioni pisana e genovese, e lasciando egualmente da parte il problema delle origini della forma scritta dei contratti in luogo della stipulazione orale, possiamo osservare che la presenza benedettina in Corsica, promossa dalla grande Riforma della Chiesa del secolo XI, non soltanto ebbe importanti conseguenze di ordine politico, religioso e sociale, ma contribuì anche alla affermazione e alla diffusione di un notariato locale che continuò a sopravvivere anche sotto il dominio della «capitale morale del notariato» (come Dino Puncuh ha definito Genova), in un’epoca in cui il diritto di esercitare il potere di autenticazione e di certificazione era riservato alla ristretta categoria dei notai nominati dalle supreme autorità, come da tempo avveniva non solo in tutta Italia ma anche al di fuori della penisola.